A volte basta un moto di indignazione, la voglia di esprimere una necessità da troppo tempo inascoltata per dar vita a qualcosa di importante, che da semplice sfogo diviene luce guida per moltissime persone. Chissà se Iacopo Melio aveva previsto tutto ciò quando, circa due anni fa, aveva ironicamente risposto a un tweet dell’allora Ministro Maria Chiara Carrozza con un hashtag, #vorreiprendereiltreno, che sarebbe poi divenuto il nome della onlus da lui fondata. La sua associazione si occupa di sensibilizzare alla disabilità in senso generale, non solo combattendo le barriere architettoniche, ma anche quelle sociali e culturali, le più terribili. Iacopo sa bene quanto l’indifferenza e l’ignoranza siano come gramigna resistente nel giardino chiamato Italia, a partire da un modo sbagliato di usare il linguaggio (“Odio l’espressione ‘portatore di handicap’: io non porto il mio handicap, io non porto niente. Io sono Iacopo”) fino ad arrivare al vero e proprio disinteresse verso ciò che riguarda i diritti dei disabili. Ma la strada per questo 23enne toscano è ancora lunga, ricca di impegni sociali, di attenzioni verso il prossimo e, perché no?, anche di ironiche campagne social di successo. Abbiamo parlato con Iacopo del percorso da lui fatto finora e di dove ha intenzione di arrivare in futuro.
Lottare contro ogni barriera senza dimenticare di sorridere: intervista a Iacopo Melio, fondatore della onlus Vorreiprendereiltreno
Partiamo dall’inizio, dalla fondazione di Vorreiprendereiltreno, nata nel 2014 da un hashtag. Cosa ti ha portato a idearla?
Avevo risposto in maniera un po’ provocatoria a un tweet del Ministro Carrozza che aveva usato l’hashtag #ioprendoiltreno per parlare di quanto sia meraviglioso prendere questo mezzo. Io ho allora replicato twittando #vorreiprendereiltreno, parlando del fatto che anche noi disabili vorremmo viaggiare ma, dal momento che in Italia non ci sono quasi mai treni attrezzati per le nostre esigenze, di fatto non possiamo farlo. Da lì poi ho deciso di parlare in maniera ironica e divertente della mia situazione nel mio blog, con un post dal titolo “Sono single per forza, non piglio l’autobus!!”: era una sorta di appello alla politica, a cui chiedevo di permettermi di prendere i mezzi per darmi la possibilità di incontrare la ragazza dei miei sogni e innamorarmi, come in un film. Fu un post molto condiviso, divenne subito virale: si accese una solidarietà spontanea e sentita. Ho quindi pensato di non far esaurire così questa spinta vitale, di non limitarmi ad aver lanciato un tormentone web. È nata quindi la campagna e poi la onlus, ancora molto piccola a livello operativo, ma di grande risonanza mediatica. L’obiettivo non è solo quello di sensibilizzare alla diversità e di far capire come sia necessario un Paese alla portata di tutti, ma anche (quando è possibile) quello di collaborare con i politici e le istituzioni del territorio per fare dei progetti concreti di abbattimento delle barriere architettoniche.
Quale risposta hai ottenuto proprio dalle istituzioni e dai rappresentanti della politica?
Ho imparato che dove c’è un minimo di visibilità le istituzioni ci sono sempre, fanno quasi a gara a “collaborare”. È oggettivo che abbiamo i riflettori puntati addosso: se segnalo sulla mia pagina un disservizio di qualche comune, il giorno dopo c’è l’articolo sul giornale. La politica collabora, certo, poi ovviamente bisogna sapere quanto la voglia di partecipare sia sincera e quali promesse fatte saranno davvero mantenute. C’è anche da dire che alla fine operiamo da circa un anno, quindi è ancora presto per poter fare un bilancio, anche se qualche vittoria l’abbiamo ottenuta.
Ad esempio? Cosa è cambiato da quando è nata Vorreiprendereiltreno? Quali sono state le vittorie della tua onlus?
Ad esempio Trenitalia, nel nuovo contratto di servizio con la Regione Toscana, ha promesso che il 75% dei mezzi e delle stazioni del territorio sarà accessibile a tutti entro il 2018. Ovviamente questo risultato non è esclusivamente merito di Vorreiprendereiltreno, però il nostro interesse ha dato visibilità alla questione e ha dato una spinta importante. Quello che vedo è che si cerca sempre di mettere la polvere sotto il tappeto, ma ciò non è possibile se moltissime persone sanno quello che accade: ciò che segnaliamo ha un peso mediatico, e quando magari chiamo un sindaco per fargli presente un problema, vengo molto spesso ascoltato. Mi ritengo un privilegiato: mi arrivano tantissimi messaggi di persone in difficoltà che però non sanno nemmeno come contattare il proprio sindaco. La mia realtà di piccolo paese sicuramente aiuta, ma la visibilità fa tantissimo. Per questo ho deciso di fondare la onlus: sensibilizzare e dare un apporto concreto, dando risonanza e voce a chi non è ascoltato.
L’Italia, per quanto riguarda le attenzioni da riservare ai disabili, è un Paese non particolarmente avanzato, soprattutto confrontandolo con la media europea. A cosa pensi sia dovuta questa situazione? A una cecità della politica, a un disinteresse dei cittadini o a entrambi questi fattori?
C’è l’aspetto culturale alla base di tutto ciò: in Italia dobbiamo ancora realizzare che un Paese più accessibile è un Paese migliore per tutti. Migliorare la vita delle persone disabili non è una necessità di nicchia, ma è così che viene percepita. Quando una cosa riguarda poche persone, in Italia passa in secondo piano. Poi c’è ovviamente da riflettere sull’approccio stesso alla disabilità: è vero che si parla tutti i giorni di disabilità, ma se ne parla in maniera sbagliata, triste, pietistica e, soprattutto, come se fosse un dovere. Le barriere vanno abbattute non perché sennò scatterebbe la denuncia o il caso politico, ma perché farlo dovrebbe essere l’azione più naturale che ci sia, una questione di pura e semplice civiltà. Bisognerebbe poi soffermarsi a pensare, quando ci alziamo la mattina, che quello che facciamo può essere d’intralcio per altri: ad esempio, lasciare le macchine parcheggiate in prossimità degli scivoli dei marciapiedi crea grandi problemi per chi si muove in carrozzina. Si tratta di difetti culturali che, all’estero, sono presenti davvero in quantità minima. La barriera architettonica si può anche superare: basta avere la buona volontà di qualcuno che mi prenda in braccio per salire le scale. L’ignoranza e la superficialità no: vanno fortemente combattute, e abbiamo ancora tanta strada da fare.
Prima hai parlato del fatto che spesso si parla della disabilità in maniera sbagliata, pietistica e triste. I messaggi che mandi tu, invece, hanno molto spesso toni ironici, così come alcuni dei video fatti con alcuni tuoi amici come Lorenzo Baglioni e Saverio Tommasi, che ironizzano sul tema della disabilità. Credi quindi che l’ironia sia lo strumento migliore per “colpire” l’interlocutore?
Assolutamente sì! La rabbia e il pietismo nella rivendicazione dei diritti sono stati usati fino ad oggi, portando sì a dei risultati, ma non come nel resto del mondo. Bisognerebbe usare l’empatia e l’ironia: ad esempio, perché si fanno battute sui carabinieri e non sui disabili? Perché fanno compassione e sono diversi? No, sono persone come le altre e quindi vanno trattate come gli altri. La politica per la disabilità è prioritaria come quella per qualsiasi altro ambito, e l’ironia secondo me aiuta molto a far passare questo messaggio di uguaglianza, oltre che a creare legami più forti tra le persone.
A guardare la tua pagina Facebook, sei molto attivo non solo per Vorreiprendereiltreno, ma anche per altri temi come l’immigrazione e il delicato argomento delle unioni civili. Per la tua personale esperienza, qual è la risposta che hai ottenuto sui social, esprimendo tra l’altro il tuo pensiero come “personaggio pubblico”?
La mia fanpage personale l’ho aperta principalmente per esigenza di “spazio”: mi arrivavano troppe richieste di amicizia e quindi ho preferito aprire la pagina. Pubblico però cose che posterei normalmente sul mio profilo, soprattutto considerando il fatto che sono interessato all’ambito del giornalismo. Non vedo dunque perché non devo esprimere le mie opinioni solo perché ho un po’ di visibilità in più. Certo, è vero che a volte mi piace un po’ provocare, e mi dispiace quando per colpa delle mie idee c’è chi abbandona la onlus. Le persone non sono pronte a dividere me dalla onlus perché per come è nata Vorreiprendereiltreno c’è molta personificazione, molta identificazione. Quindi, se io non vado a genio, poi ne risente anche la onlus, e questo mi dispiace. Quando vengo attaccato per un pensiero che ho espresso tramite la mia pagina, poi le offese e gli “abbandoni” riguardano anche l’associazione, com’è successo con i commenti dei leghisti (Ndr: Iacopo ha commentato con la propria pagina un post della fanpage di Matteo Salvini, criticando le sue parole. È stato verbalmente attaccato dai sostenitori del leader della Lega Nord, soprattutto da un utente che lo ha offeso pesantemente riguardo la sua disabilità. È partita poi una petizione per chiedere a Salvini di condannare e dissociarsi da tali commenti).
Riguardo a quella questione poi, com’è andata a finire? Salvini ha preso le distanze dalle offese fatte nei tuoi confronti dai suoi sostenitori?
So che l’ha saputo, ma non si è espresso a riguardo, ha fatto finta di niente. Io ero assolutamente tranquillo nel commentare il suo post, e mi sarei sentito discriminato se qualcuno non mi avesse attaccato come spesso accade. Ho voluto pubblicare quei quattro commenti cattivi perché, in un dibattito politico, bisogna rimanere sul piano delle idee, e non scendere alle offese personali, soprattutto se legate a una disabilità. Anche in questo caso, poi, ci sono state delle persone che non erano d’accordo con me e hanno deciso di abbandonare il progetto Vorreiprendereiltreno, il che mi è dispiaciuto molto: per fortuna, però, sono state davvero poche.
Studente universitario, collaboratore giornalistico, web designer, social-media manager e videomaker. Cosa sogna di diventare Iacopo Melio?
Non lo so quale sarà la mia priorità, anche se di sicuro non lascerò il mondo della comunicazione: che sia con il giornalismo o con un impegno sociale, vorrei continuare a dare voce a chi non ne ha, a raccontare i problemi degli altri. Che sia il mio lavoro principale o in aggiunta a un’altra mia attività, è un aspetto che non voglio lasciar perdere. Spero ovviamente che l’avventura di Vorreiprendereiltreno continui ancora per molto tempo: so che da un giorno all’altro questa realtà potrebbe non esserci, o comunque potrei non essere più io a rappresentarla, quindi cerco di vivere quest’esperienza giorno per giorno. Intanto laureiamoci va, che non è poco!
Lucia Mancini