Panta rei, tutto scorre. Tanto più se ci stiamo muovendo all’interno del flusso instabile della comunicazione digitale dove, grazie all’innovazione tecnologica, ogni cosa si modifica ancora più velocemente. Saper intercettare il cambiamento, addirittura prima che si verifichi e saperlo poi interpretare al meglio, da protagonisti e da leader del settore, è il quid che rende l’azione di un’agenzia davvero efficace e duratura nel tempo. Di trasformazione, formazione e molto altro abbiamo parlato con Nereo Sciutto, Presidente della Search e Web Marketing Agency Webranking.
Come si è evoluta negli anni l’attività di Webranking, sia organizzativamente che nelle strategie, rispetto ai cambiamenti avvenuti nell’orizzonte della comunicazione negli ultimi anni?
Webranking è un’agenzia che nasce nel 1998, diventiamo “maggiorenni” proprio l’anno prossimo. Al nostro debutto, non c’era Google – verrà lanciato qualche mese dopo di noi – non c’era Facebook, non c’era YouTube, non c’era niente. L’agenzia nasce per lavorare sui motori di ricerca, ma all’epoca non esisteva AdWords, quindi si ragionava sul riposizionamento organico e noi di conseguenza abbiamo iniziato come SEO, ossia come persone che influenzavano positivamente il posizionamento organico naturale, non a pagamento. Da lì, abbiamo poi seguito tutto lo sviluppo dell’industria e, all’avvento di AdWords, abbiamo integrato la parte di paid search: oggi abbiamo quindi più di un decennio di esperienza alle spalle e, in virtù di questa esperienza, siamo particolarmente bravi nel Programmatic Adv. Noi lavoravamo sulle keyword e fornivamo alla stessa persona in momenti diversi messaggi diversi. Quindi possiamo dire metaforicamente che il resto del mondo pubblicitario alla fine si è dovuto adeguare alle nostre logiche, non il contrario. Successivamente, abbiamo integrato la parte di Analytics e nel tempo anche le funzionalità che servono per far funzionare meglio i siti, migliorando tutto il versante relativo alla user experience e all’ottimizzazione delle conversioni, mettendo il turbo al Media Planning. Da un anno siamo attivi sul Programmatic, perché le logiche di pianificazione pubblicitaria finalmente sono diventate omogenee, rendendolo la frontiera più interessante: per noi non è difficile da gestire, mentre per il resto del mondo pubblicitario, il Programmatic è stato accolto come una rivoluzione. In questo percorso di crescita, siamo passati da due a più di sessanta collaboratori, con dieci posizioni aperte attualmente. Il paradosso del nostro mercato è d’altra parte la mancanza di determinate professionalità: noi vorremmo assumere ma esiste un gap tra università e mondo del lavoro. Alcuni percorsi universitari infatti allontanano dalla pratica effettiva di una certa professione: occorrerebbe una maggiore focalizzazione nella scelta dei percorsi di studio ed una visione global oriented, soprattutto nel campo della comunicazione.
La sede di Webranking
L’avvento di Adblock ha paventato la "fine" di annunci e pubblicità online soprattutto sul mobile: qual è la criticità più preoccupante che emerge e quali sono le azioni più efficaci da attuare per contrastare la crisi?
Per usare una battuta, non possiamo dire che esista un maggiordomo che strappa sempre le pagine pubblicitarie e restituisce al suo datore di lavoro un giornale pulito. La tecnologia sul web consente però di compiere delle operazioni impossibili da realizzare con gli altri mezzi, in questo caso di bloccare la pubblicità molto facilmente. Allo stesso tempo occorre fare una forte autocritica, lo stesso IAB negli Stati Uniti lo ha fatto: i soci si sono accorti che non c’era alcun genere di controllo sulla qualità della pubblicità, ma soprattutto non c’era controllo sulla pressione pubblicitaria. Oggi gli editori caricano effettivamente troppo advertising all’interno delle testate, ma il problema non è tanto degli editori o della pubblicità online, il punto è che in diversi paesi il costo per impression è molto basso. Di conseguenza, per far quadrare i conti, un editore dovrà caricare in pagina molti annunci. Su Internet c’è una quantità limitata di traffico che un sito può attrarre, se si ha un certo numero di pagine viste e non si riesce a generarne di più, l’unico sistema a disposizione è proprio quello di caricare più adv e mettere più banner nella stessa pagina. Da qui l’esplosione di messaggi commerciali in pop up, overlay, skin e così via, strettamente legata ai costi troppo bassi della pubblicità online. Da qui il fenomeno di Adblock e la necessaria autocritica degli operatori del settore. Sarebbe auspicabile una sorta di codice di autoregolamentazione, che lo IAB sta proponendo ai publisher ma sopratutto alle agenzie, per cercare di regolare questo mercato. La minaccia riguarda anche la qualità dei contenuti: se non si pagano abbastanza i publisher, ci saranno sempre giornalisti demotivati e il valore del prodotto editoriale precipiterà a zero. O passiamo in modalità paywall, per cui paghiamo gli abbonamenti alle testate per riuscire a sostenerle – ma in Italia non siamo molto bravi in queste cose – oppure rischia di verificarsi la morte dell’informazione, che ha una validità sociale da proteggere, perché più testate indipendenti ci sono, meglio l’utente può informarsi e costruire la sua idea di mondo. Il problema è piuttosto complesso, ma, ripeto, mi piace molto che l’industria pubblicitaria stia facendo autocritica, lo trovo fondamentale in questo frangente. Poi, una soluzione è senz’altro dare più valore alla pubblicità sul web: ad oggi sembra infatti che gli utenti della Rete valgano meno, dal punto di vista commerciale, rispetto a quelli della tv. E così non è.
Il Team al lavoro
Come si definisce il ruolo delle agenzie pubblicitarie in una fase in cui online e offline sono strettamente correlati e dunque diviene di vitale importanza essere in grado di gestire la tecnologia e i dati, elementi ormai imprescindibili per sviluppare strategie di marketing che colpiscono nel segno?
Quando determinate professionalità sono assenti, occorre andare a recuperarle al di fuori delle aziende. Quindi, in un periodo di rivoluzioni così veloci, il compito dell’agenzia è quello di fare formazione e rendere comprensibile ad un decisore aziendale – che ha paura di perdere il controllo, perché è abituato da 70 anni di esperienza con la televisione a conoscere determinate logiche ed avere specifici modelli – il passaggio al mercato digitale, dove quello che ha imparato l’anno scorso è già vecchio, per cui deve imparare a fidarsi di qualcuno che lo aiuti. Il grosso lavoro di un’agenzia oggi non è quello di pianificare la pubblicità, realizzare campagne creative o misurarle: lo scopo principale di un’agenzia è stabilire un rapporto di fiducia con dei manager che hanno voglia di imparare, per aiutarli a gestire la complessità e a prendere migliori decisioni, in uno scenario complicato. Io diffido delle planning agency pure o di quelle che propongono un prodotto già costruito. Il ruolo dell’agenzia deve essere quello di aiutare il cliente a sopravvivere, in una posizione quanto più è possibile da protagonista, sui mercati.
In un orizzonte profondamente data centrico, quali sono le priorità che devono guidare le attività di un’agenzia pubblicitaria e quanto conta riuscire a stabilire un rapporto di dialogo con i destinatari dei contenuti?
Misurare costa, soprattutto in tempi come questi, dove la mole dei dati è cresciuta esponenzialmente e dove anche la pubblicità display diventa programmatica. Inizialmente occorre avere la certezza del dato che si sta misurando e quindi è necessario affidarsi a qualcuno che garantisca la certificazione dell’audience. Alcune piattaforme infatti registrano un traffico che è diverso da quello reale. Le aziende dovrebbero destinare un budget alle operazioni di certificazione, che costano. Altro aspetto importante è la condivisione con il cliente, che deve far conoscere all’agenzia molto più del suo semplice modello di business: noi, per lavorare bene, dobbiamo sapere se le persone che stiamo portando hanno per il nostro cliente un valore più o meno alto. Dobbiamo aiutare le aziende a costruire con i clienti finali un dialogo che vada al di là dell’acquisto, incoraggiando la fidelizzazione. In Italia, poi, le aziende dovrebbero decidersi ad attuare una “rivoluzione copernicana”, smettendo di fare dei monologhi e aprendo invece al dialogo con la clientela.
Il Team Webranking al completo
Quali sono le migliori case history di Webranking da incorniciare e quali sfide sarà chiamata ad affrontare l’agenzia nel prossimo futuro?
Webranking possiede delle certificazioni relative alla padronanza di alcune competenze che pochi possono vantare in Europa. Inoltre, abbiamo delle case history uniche nel nostro paese su un certo settore di competenza. Ad esempio, anni fa, Webranking e Google hanno firmato a quattro mani una case sul miglioramento dei tassi di conversione di Privalia, che all’epoca era in Italia da solo un anno. Quella è stata un’esperienza pazzesca perché con il primo test aumentammo del 44% il numero degli iscritti a Privalia. Ultimamente, per Allianz, abbiamo collegato e gestito il passaggio delle informazioni tra Internet e il mondo fisico, unendo le indicazioni della business intelligence di Allianz rispetto alle agenzie fisiche dislocate sul territorio e aiutando, tramite la piattaforma Google Analytics Premium, a collegare gli effetti della pubblicità digitale con il concreto acquisto di una polizza in agenzia. Dunque abbiamo consentito ad Allianz di registrare gli effetti del digitale nel mondo fisico: un’operazione unica nel suo genere. Per Inglesina, il celebre produttore di passeggini particolarmente iconici, abbiamo creato una campagna video molto interessante, tanto che poi Facebook si è accorto dell’iniziativa e ci ha chiesto di costruire una case a livello europeo, perché eravamo riusciti a realizzare una comunicazione video sul social che aveva riscosso grandi risultati. Al momento lavoriamo per 45 clienti; metà sono brand internazionali, come Johnson & Johnson o Ikea, per i quali curiamo il mercato italiano, l’altra metà invece sono grandi player italiani, come Smeg, Prada e Hogan, per i quali ci occupiamo del mercato internazionale. La realtà della nostra agenzia è molto aperta, il web non ti concede la protezione di un confine e per questo è possibile competere nei mercati di tutto il mondo dove le regole del gioco sono le stesse.
Elisabetta Pasca