Evolversi e mutare, abbracciare forme tra le più disparate per poter andare incontro alle diverse esigenze che il panorama della comunicazione di oggi richiede. Il tutto restando sempre fedeli a sé stessi: è così che Casta Diva Group è divenuta la grande realtà che è ora. Questa multinazionale tascabile della comunicazione viene fondata nel 2005 da Andrea De Micheli e Luca Oddo, rispettivamente AD e Presidente del gruppo. Casta Diva ha saputo portare la creatività made in Italy in tutto il mondo, aprendo sedi in tredici città nei quattro continenti: Londra, Manchester, Milano, Roma, Praga, Monaco, Istanbul, New York, Los Angeles, Buenos Aires, Cape Town, Mumbai e Beirut. Al suo interno vi sono diversi brand attivi sul mercato internazionale: Casta Diva Pictures, Egg Events, Bin Jip e, grazie a un accordo commerciale, Adacto e Artist & Agency.
Curatrice di alcuni degli spot, film e programmi tv tra i più noti, questa realtà ha saputo dare il meglio di sé anche nella creazione e organizzazione di eventi grandi e piccoli, continuando a collezionare premi che riceve costantemente all’interno delle più importanti manifestazioni e competizioni del mondo. Per capire in che modo Casta Diva Group ha saputo costruire nel tempo il suo successo, abbiamo parlato proprio con coloro che hanno dato vita a tutto ciò: Andrea De Micheli e Luca Oddo.
Diversificare la propria offerta per costruire un successo duraturo: intervista ad Andrea De Micheli e Luca Oddo, AD e Presidente di Casta Diva Group
Il gruppo Casta Diva nasce nel 2005 e, in questi dieci anni di attività, è cresciuto esponenzialmente, declinandosi in molteplici realtà e andando ad operare anche all’estero. Qual è stata la strategia che avete adottato per inserirvi nei mercati al di fuori di quello italiano?
A. De Micheli: Il tutto è nato dal fatto che, nel nostro passato, io e Luca abbiamo sempre lavorato in contesti internazionali. Io per esempio sono nato come producer di sfide difficili e location impossibili. Dai 25 ai 35 anni ho viaggiato e lavorato in tutto il mondo, nei contesti più disparati. In questo modo mi sono reso conto, e Luca con me, che non è così difficile collaborare con culture e lingue diverse. L’espansione all’estero è stata qualcosa di molto naturale. Il primo ufficio lo abbiamo aperto a Praga, poi a Buenos Aires e così via. Il network si è allargato mano a mano divenendo sempre più forte. I nuovi affiliati, come il nostro amico di Beirut, sanno che la loro realtà può assumere un’importanza a livello internazionale, con un maggior numero di clienti. E così stiamo andando avanti.
La vostra esperienza con i mercati esteri vi ha permesso di conoscere le differenze nelle dinamiche della comunicazione tra il nostro Paese e gli altri. Quali sono le principali secondo voi? Ritenete che, in questo settore, l’Italia sia ancora indietro rispetto ad alcune realtà europee?
L. Oddo: Abbiamo letto un articolo molto interessante di Michele Ainis sul Corriere che risponde un po’ a questa domanda. Nel testo si afferma come in Italia, in un certo senso, non si decida nulla in modo esplicito: ad esempio, non si sceglie neanche tra guerra o pace, ma si vota per la guerra pacifica. Siamo un po’ la nazione del compromesso dal punto di vista caratteriale: noi italiani non amiamo molto schierarci in modo definitivo. Questa caratteristica va contro la regola fondamentale della comunicazione di successo, ossia prendere una posizione e portarla avanti fino in fondo. Nella comunicazione, infatti, i compromessi non funzionano. Inoltre, nel nostro Paese sono ancora i comitati a prendere le decisioni, non tanto i manager. I comitati tendono a censurare le punte creative e a omogenizzare il tutto in un’aurea mediocritas che però di aureo ha ben poco. Non è un caso che i comunicatori italiani di maggior successo siano i proprietari delle aziende: penso ad esempio a Renzo Rosso di Diesel. Sono padroni che fanno quello che vogliono e si prendono la responsabilità di farlo, ed è così che funziona una comunicazione di successo. In altri Paesi, specie quelli anglosassoni, questa concezione è chiara: si prendono sempre decisioni, anche in maniera forte e dirompente.
Possiamo dunque dire che in Italia si teme di rischiare?
L. Oddo: Sì, diciamo che si tende molto ad attenuare il rischio. C’è anche da dire che da noi, essendoci meno mezzi a disposizione, abbiamo meno risorse per rimediare poi a un eventuale errore. L’imprenditore italiano è quindi un imprenditore molto cauto.
In questi dieci anni di attività, il panorama della comunicazione è mutato radicalmente. In che modo una realtà come la vostra è riuscita a rispondere con successo a questi cambiamenti?
A. De Micheli: Abbiamo iniziato con gli spot pubblicitari e poi, già dal secondo anno, abbiamo capito che bisognava diversificare la nostra offerta. Siamo passati molto rapidamente alla live communication, all’organizzazione di eventi, alla digital communication, facendo diverse alleanze sia con società già esistenti che creandone di nuove. Oggi devo dire che questa scelta ci ha premiato: più o meno un quarto del nostro fatturato deriva da questa nostra attività di diversificazione.
Tra i diversi eventi che avete presentato al Bea Festival di quest’anno, c’è anche quello (pluripremiato) che avete ideato per Samsung Turchia, “Hearing Hands”, diffuso poi in un video divenuto virale. Quali sono stati, secondo voi, gli elementi che hanno conquistato la giuria?
L. Oddo: Credo che i giudici siano stati convinti dalla qualità del video stesso, creato insieme a Leo Burnett Istanbul. Si tratta di un prodotto che commuove, perché è una storia vera e sincera, non manipolata in modo ipocrita. La commozione di Muharrem, il ragazzo non udente protagonista dello spot, è reale. Il lavoro doveva essere semplice e sincero, e questo in un certo senso va un po’ in controtendenza rispetto alla live communication di oggi, ma crediamo sia stato proprio questo a conquistare la giuria.
Durante il Bea Festival è stato presentato l’annuale monitor sul Mercato degli Eventi in Italia, che ha mostrato un trend lievemente positivo rispetto all’anno precedente. Voi come vedete l’evoluzione di questo settore nel nostro Paese?
A. De Micheli: Il settore evolve positivamente, ma c’è un aspetto che mi preoccupa un po’. Innanzitutto l’evoluzione positiva è dovuta, purtroppo, anche al fatto che si sta nutrendo una sfiducia profonda verso il mezzo televisivo e, di conseguenza, verso lo spot. Ognuno però crede a sé stesso, alle proprie esperienze vissute in prima persona, ed è qui che serve la live communication: è una strategia che raggiunge in maniera diretta un numero di persone sicuramente più piccolo rispetto alla campagna in tv, ma in proporzione ne può convincere molte di più. La cosa che mi preoccupa un po’, invece, è il fatto che si creano (soprattutto da parte delle grandi aziende) molti problemi alle agenzie riguardo al budget concesso loro. C’è una cecità, una divisione per compartimenti all’interno delle aziende che non può portare a nulla di buono. Se si vuole spendere di meno, si rischia poi di ottenere un evento di qualità inferiore, e ciò è svantaggioso sia per il cliente che per il fornitore. Non è un modo di agire molto intelligente.
Cosa vedete nel futuro di Casta Diva Group?
L. Oddo: Dal punto di vista dell’espansione territoriale, credo che siamo arrivati a un buon punto. Ora possiamo pensare a estendere negli altri Paesi la diversificazione che abbiamo attuato molto bene in Italia. Nella live communication vedo un futuro più orientato a comunicazioni di tipo strategico: questa comunicazione consente spesso di ottenere earned media, ossia spazio gratuito sui media perché c’è interesse a dare la notizia. Vorremmo poter continuare a offrire questo tipo di eventi o di comunicazione ai nostri clienti.
Lucia Mancini