Corporate Identity, Reputation e valutazione del rischio di crisi mediatica
Autodeterminazione, consapevolezza e conoscenza dello scenario in cui inseriamo i contenuti, hai già verificato la tua efficacia?
Ogni volta che mi trovo in un’aula gremita, o in una sala riunioni per la formazione personalizzata, mi metto in ascolto delle parole e delle sensazioni di chi si trova a gestire piani di comunicazione per i social con la grande paura di sbagliare e l’impressione di non aver nulla da dire. “Nulla da dire a chi?” chiedo di solito, “a chi legge” mi viene risposto, e così proseguo “e chi sono i vostri lettori?”, “non lo sappiamo”. Ed è qui che comincia il cambiamento, dall’esatto momento in cui iniziamo a costruire una visione precisa e puntuale, che non solo porta al miglioramento dei contenuti, ma anche alla costruzione di una consapevolezza maggiore su cosa, come, perché, quando e chi deve produrre contenuti.
Ogni giorno si parla di Reputation Economy, di mercato conversazionale, di cultura digitale e soprattutto di reputazione basata su recensioni, commenti, condivisioni e Endorsement, ma mai il lavoro di progettazione si focalizza su questi aspetti come leve sulle quali iniziare a costruire la semantica dei contenuti. Se il web è fatto di conversazioni, iniziamo con il domandarci quali sono le conversazioni di cui il nostro sistema vorrebbe essere protagonista, in cui il nostro team potrebbe essere in grado di portare valore aggiunto e dimostrare l’alta competenza che inseriamo sempre nella presentazione aziendale e, non ultimo, come possiamo raggiungere delle conversazioni già esistenti su questi argomenti.
Quando ero piccola amavo moltissimo il gioco delle parole mescolate, si pescavano tre parole e si doveva costruire una storia con un senso utilizzandole. Il gioco oggi lo faccio con gli imprenditori, con i marketing manager, con le figure preposte alla comunicazione e alla gestione dell’immagine corporate. Ma quelle parole, a differenza di un tempo oggi sono precise e puntuali rispetto a ciò che vogliamo trasmettere, perché sono la semantica identitaria di quella realtà con cui i vari attori devono prendere confidenza. Quelle parole rappresentano l’identità e sono il frutto di un lavoro comune di confronto, di analisi, di selezione, di comparazione di tutte le fonti (e con fonti significa qualsiasi testimonianza sia orale che scritta). Ed è esattamente qui che riconosciamo chi siamo, cosa facciamo, quali sono i valori che ci rappresentano e come vogliamo essere percepiti, ma anche come lo siamo effettivamente, cosa dobbiamo migliorare e come possiamo farlo attraverso i canali a disposizione. L’esperienza comunicativa – perché è questo che facciamo in team, sperimentiamo la comunicazione in tutte le sue forme e miglioriamo le nostre competenze critiche – ci porta dunque a identificare la reputazione e a comprenderne i confini. Si inizia con l’autodeterminazione e si prosegue con l’attività di prevenzione del rischio. Ogni contenuto che uscirà dalla Briefing Room sarà dunque caratterizzato da un obiettivo, da un’azione che dovrà generare, da un argomento da sviluppare sia con l’intento di generare fiducia che con quello di migliorare la conoscenza e quindi crescere attraverso l’ascolto, ed infine, ma non ultimo con una valutazione (attraverso una scheda di analisi) della percentuale di rischio di mettere in difficoltà a livello mediatico l’immagine. Il nostro piano editoriale dedicato alla Corporate Identity è costituito per il 50% di produzione di contenuti che parlano di noi mentre per il restante 50% sono il frutto della rielaborazione dell’attività di ascolto, strutturati in una griglia precisa e organizzata in ogni minimo dettaglio.
E tu come organizzi i tuoi contenuti legati alla Corporate Identity? Se vuoi saperne di più sul mio metodo di lavoro e sul #pianoeditorialehowtowin legato alla Corporate Identity a Marzo potrai seguire un seminario:
http://www.netlifesrl.com/2020/01/06/a-marzo-il-nuovo-seminario-sul-piano-editoriale-50-euro-di-sconto-per-chi-si-iscrive-entro-l11-febbraio/