Cyberbullismo ed educazione digitale
E se i cyberbulli fossero per primi i genitori? A lezione di educazione digitale da Fabio Corvini, formatore ed esperto
Quando i genitori postano una foto del proprio figlio dopo una performance particolarmente di rilievo in un’attività sportiva o scolastica o di qualsiasi altro genere aggiungendo il commento “il mio orgoglio”, lo hanno chiesto ai figli? E sanno che questo contenuto rimarrà presente nel web anche quando i loro figli saranno cresciuti? Hanno riflettuto sul fatto che quella foto postata offrirà una percezione del loro figlio da parte di altri che nella loro esperienza quotidiana hanno i loro criteri di consapevolezza legati alla loro personale esperienza con la genitorialità o meno? E se lo hanno fatto utilizzando una storia sono consapevoli che quel contenuto sarà visibile a chiunque?
È partita proprio da qui la riflessione sul tema del cyberbullismo e su una necessaria educazione digitale non solo ai ragazzi, a cui è stato consegnato uno strumento estremamente potente e dalla portata che arriva ad imbattersi su temi come l’adescamento di minori online, la pedopornografia, il revenge porn, il cyberbullismo, solo per citare alcuni aspetti dei rischi nei quali quotidianamente rischiamo di imbatterci, e a cui Fabio Corvini, formatore ed esperto, ha dato qualche indicazione durante il #caffèindiretta in cui l’essere #consapevolmenteconnessi è la base di ciascuna riflessione (qui in video con i contenuti completi https://www.facebook.com/307309599643466/videos/234199674609826/) . Con Fabio Corvini abbiamo approfondito molti aspetti che condizionano digitalmente le nostre vite: la dipendenza inconsapevole, l’uso troppo spesso improprio delle chat e la dipendenza dal consenso.
Siamo dipendenti dallo smartphone e non ce ne rendiamo neppure conto?
Usiamo lo smartphone per una buona parte della giornata, un esempio è la dipendenza dalle mappe per raggiungere un luogo. Allo smartphone affidiamo gran parte della nostra comunicazione, e in questo periodo ancora di più, appesi al segnale del wifi. E abbiamo dotato anche i nostri figli di questo strumento, senza renderci conto che dietro ad uno schermo non siamo protetti e di quanto il nostro uso condizioni anche il loro uso. La percezione che in un luogo sicuro come la casa e che dietro ad uno schermo ci si possa proteggere da tutto non ci deve portare a pensare che dall’altra parte “nessuno può toccarmi”, perché non è così.
Come stiamo utilizzando le chat?
C’è un aumento di tentato adescamento di minori attraverso gli smartphone.
Ci chiediamo che uso ne fanno i nostri figli?
Siamo davvero sicuri che quando noi dormiamo loro non stiano chattando con perfetti sconosciuti? Ma questo a volte perché gli amici li hanno inseriti in un gruppo WhatsApp dove si parla di un certo argomento, il punto è che loro non conoscono tutte le persone che stanno chattando all’interno di quel gruppo. Siamo forse troppo abituati a figure virtuali che non sentiamo il desiderio di dialogare con persone fisiche che conosciamo? E gli adulti, a loro volta come usano le chat? Gruppi WhatsApp delle classi, vengono utilizzati con il loro scopo corretto o diventano lo sfogatoio di consigli didattici e di comportamento di alcuni genitori. La chat diventa un sistema di consenso e di approvazione.
Siamo sempre alla ricerca di consenso e apprezzamento? Online troviamo il soddisfacimento a questo nostro desiderio?
Il concetto di approvazione consenso e apprezzamento: like è entrato nelle nostre vite in maniera preponderante.
I nostri figli vivono di Like, di persone che non conoscono, esattamente come gli adulti. Più abbiamo seguaci e più abbiamo apprezzamenti e dunque più ci sentiamo soddisfatti. Questo anche quando condividiamo un pensiero online, lo facciamo per sentirci approvati dagli “amici”, ma questa parola ha un senso completo o è un aspetto parziale di quello che è il reale significato?