1 – Evitare i bias in fase di recruiting
La collaborazione tra il team Diversity & Inclusion e quello delle Risorse Umane è fondamentale: da una parte è necessario incoraggiare candidature al femminile anche attraverso annunci di lavoro inclusivi, dall’altra bisogna formare i recruiter e gli HR Manager affinché non svolgano i colloqui basandosi, anche inconsciamente, su bias e pregiudizi. Proprio per questo, ad esempio, SumUp sta adottando una strategia per la quale i colloqui vengono svolti attraverso diverse interviste: mettere insieme più opinioni su un candidato aiuta ad eliminare i bias inconsci che un singolo recruiter potrebbe avere e a far sì che si ottenga una visione il più oggettiva possibile. In particolare, per i ruoli “senior” si prevedono anche più interviste con numerosi stakeholder interni all’azienda.
2 – Eliminare la sindrome del “mini-me” (o in-group bias)
Un approccio al recruiting di questo tipo aiuta ad arginare la cosiddetta sindrome del “mini-me” (o i cosiddetti in-group bias), che porta referenti e dirigenti a favorire o cercare candidati che siano il più simili possibile a loro per età e genere, mentalità, esperienza nel settore, con cui condividono formazione scolastica e lavorativa, ma anche hobby. Tuttavia, creare un luogo di lavoro con individui troppo simili tra loro può essere controproducente: si rischierebbe soltanto di ottenere un team poco diversificato, mancante di innovazione e punti di vista differenti.
3 – La condivisione fa la forza contro la sindrome dell’impostore
Uno spazio di lavoro sicuro è un luogo all’interno del quale sentirsi liberi, a qualunque livello di seniority, di condividere i propri errori e di mostrarsi vulnerabili, senza per questo sentirsi giudicati.
Raccontare le proprie difficoltà può aiutare a sentirsi meno soli, ad esempio raccogliendo esperienze dirette da parte di colleghi che si trovano – o si sono trovati – ad affrontare situazioni analoghe. Nel caso delle donne, ad esempio, è comune la cosiddetta “Sindrome dell’Impostore”, una condizione psicologica per la quale un individuo arriva a dubitare delle proprie competenze e a non riuscire a riconoscere neanche i propri meriti. A causa di questa condizione, molti professionisti non raggiungono ruoli di leadership: temono, infatti, di non essere adeguati e di non poter pretendere o meritare aumenti e incarichi di responsabilità. In un contesto lavorativo aperto all’ascolto, invece, una persona può scoprire di non essere la sola a vivere questa specifica condizione e, grazie al supporto di colleghi e colleghe, superare questo “disturbo” e ritrovare la propria serenità e sicurezza sul lavoro.
“Nei momenti in cui ho dubbi o insicurezze mi ritrovo addirittura a pensare cosa farebbe un uomo al mio posto”, spiega Pamela Mead, Vicepresidentessa del Design di SumUp, portando la sua personale esperienza nel superare la sindrome dell’impostore. “Riesco a superare queste incertezze cambiando la mia modalità di pensiero e spostando invece l’attenzione sui miei punti di forza e su ciò che so fare meglio. In questo processo, aiuta molto la condivisione con amici e colleghi: è un modo per ricordare a me stessa tutto quello che sono riuscita a fare. Allo stesso tempo, quando altre persone si confidano con me raccontandomi i dubbi su loro stessi, consiglio di focalizzarsi sui punti di eccellenza e su quello che hanno raggiunto. L’aspetto più curioso – e che fa molto riflettere – è che spesso quando ci si mette in discussione ci si accorge che in realtà gli altri dall’esterno hanno una percezione completamente diversa: ad esempio, arrivano a farmi i complimenti per come ho gestito una presentazione o per la sicurezza mostrata. Per questo, il messaggio importante che vorrei dare è: la voce interiore è sempre molto critica, bisogna ascoltarla, ma non farsi mai sopraffare”.
4 – Promuovere il processo di Allyship
Per aumentare la presenza femminile nei ruoli di leadership – in azienda e anche più in generale nei team e nei settori tecnico e scientifico – servono educazione all’ascolto e sensibilizzazione su vari livelli. Questo serve a promuovere un processo di Allyship, in cui tutti siano coinvolti attivamente per l’inclusione e la crescita degli altri, eliminando le micro-iniquità quotidiane. Questo significa, ad esempio, sostenere anche situazioni che non ci riguardano direttamente, ma che sono importanti per altri membri del team, condividere le proprie esperienze e fare network anche attraverso workshop interni: un esempio è l’Inclusive Leadership Workshop, a cui ha partecipato oltre il 50% dei leader di SumUp e su cui vengono formati i nuovi membri dei team. Proprio per questo Nastasia Neumann, Lead Talent Acquisition Partner di SumUp, prenderà parte al FemTechConf Women in Tech Q1 Summit – dove condividerà con professioniste provenienti da numerose aziende internazionali la propria esperienza relativa alla sindrome dell’impostore, con l’intento di trovare spunti e soluzioni per affrontare collettivamente la questione.