*Paolo Del Panta è editore di All about Italy, magazine dedicato alle eccellenze italiane. Nato nel 1997 per sostenere la competitività delle imprese del nostro Paese sui mercati internazionali, All about Italy si è da sempre impegnato a promuovere la filiera italiana, diventando una vera e propria piattaforma specializzata che riunisce al suo interno importanti ambasciatori dell’italianità, rappresentando un esclusivo trait d’union tra la qualità del Bel Paese e il mercato straniero. Oggi la prestigiosa pubblicazione – che è stata anche testimone di importanti riconoscimenti, tra cui anche una medaglia celebrativa da parte della Presidenza della Repubblica Italiana consegnata in occasione del Gala Italia tenutosi a Monaco di Baviera – è distribuita in USA e in Germania, con due edizioni in lingua originale, pensate appositamente per i mercati di riferimento.
ALL ABOUT ITALY – Valori, investimenti e qualità: Michele Bauli, Vicepresidente di Bauli SpA, racconta come si costruisce un brand iconico
Rubrica a cura di Paolo Del Panta*
Molto spesso un nome è più di un semplice nome: in determinati specialissimi casi un insieme di lettere si trasforma nel sigillo evocatico che racchiude in sé anni di storia, di tradizione, di futuro. A Verona si tocca effettivamente con mano quanto un nome possa restituire pienamente la sensazione di un profumo, di un gusto, di una bellezza autentica fatta di gesti antichi ma mai antiquati, inconfondibili non solo in Italia ma in tutto il mondo. Dire Bauli significa oggi rappresentare in maniera fortememente iconica un’idea di produzione italiana di qualità che trae origine da un passato artigiano per proiettarsi con successo in un futuro di innovazione consapevole e di valori condivisi. Di tradizione e di nuove prospettive abbiamo chiacchierato con Michele Bauli, Vicepresidente del Gruppo omonimo, per tracciare le coordinate di un viaggio iniziato in una pasticceria di Verona e ancora in corso, non solo nel mercato nazionale e internazionale, ma soprattutto nel cuore di generazioni di consumatori, che in quel nome hanno riposto fiducia e affetto e riconosciuto l’espressione più vera del dna dolciario del Belpaese.
La Sua famiglia ha dato il nome ad un marchio divenuto tra i più iconici e riconoscibili dell’industria dolciaria mondiale: come si è costruito negli anni il mito Bauli e come si è sviluppato il suo racconto?
L’immagine di Bauli è nata localmente dalle capacità di un grande pasticciere, mio nonno Ruggero Bauli, e poi è stata portata a livello nazionale dai suoi figli dagli anni ’70 in poi. Alla base di tutto c’è quindi l’abilità pasticcera di mio nonno, affiancata nel tempo dall’intraprendenza dei suoi figli, che sono stati in grado di far crescere l’azienda puntando sempre sulla qualità – prerogativa fondamentale – ma intensificando in maniera sempre coerente la pubblicità del prodotto. Bauli ha costantemente comunicato negli anni i concetti di qualità, famiglia e festa: l’idea dello stare insieme durante un’occasione ha accompagnato il racconto dell’azienda. Sulla base di un prodotto di qualità, abbiamo quindi voluto trasmettere i valori del condividere in un momento di festa. Credo che ci siamo riusciti, perché oggi dire Bauli è dire unione.
Alle origini c’era appunto la pasticceria artigianale di suo nonno, oggi abbiamo un brand con prodotti distribuiti in tutto il mondo: come è possibile gestire con successo il passaggio da una dimensione locale a una globale e industriale mantenendo standard di qualità eccellenti?
Lo spirito dell’imprenditore si basa su due concetti chiave: da un lato vuole preservare la qualità prestando molta attenzione alla produzione di un prodotto che sia prima di tutto buono, dall’altro c’è la voglia di diventare più grandi, di far crescere il proprio brand portandolo a livelli sempre maggiori. Sui prodotti che produciamo c’è il nostro nome e anche per questo ci siamo sempre impegnati ad offrire il meglio, allo stesso tempo – proprio perché i nostri prodotti piacciono – vogliamo venderli a più persone possibili, perché questo è insito nello spirito imprenditoriale. Come abbiamo fatto a diventare grandi? Abbiamo investito molto in tecnologia, riuscendo a creare impianti di produzione sofisticati e rispettosi dei metodi di produzione. Abbiamo quindi replicato in scala più grande quello che si fa in scala piccola all’interno di una pasticceria, puntando molto anche in persone che hanno sposato la nostra idea di produzione. Il successo di Bauli è anche merito loro.
Come si differenzia, sia da un punto di vista produttivo che da un punto di vista comunicativo, il rapporto di Bauli con i mercati esteri in cui è presente?
I nostri prodotti – il pandoro, il panettone, la colomba o l’uovo di pasqua – appartengono alla tradizione italiana, quindi ci siamo sempre concentrati per la maggior parte sul nostro Paese. Negli ultimi 10 anni abbiamo scelto di dare spazio anche a prodotti non tipicamente tradizionali: penso ai biscotti, alle merende, ai cracker, che ci hanno permesso di intensificare l’export. Volendo parlare di cifre, il 90% delle nostre vendite sono in Italia e il 10% in giro per il mondo. Certo, la fetta inferiore rappresenta sempre un fatturato di 50 milioni euro, quindi si tratta comunque di un alto numero di vendite. La nostra attività di export interessa più di 100 Paesi in giro per il mondo, soffermandoci soprattutto su quelli in cui ci sono molti italiani, così da farli sentire un po’ più a casa. Un Paese un po’ particolare è l’India, nel quale abbiamo avviato una produzione specifica: è un mercato interessante, che sta crescendo molto. I nostri prodotti sono comunque apprezzati da un punto di vista geografico in maniera abbastanza trasversale. Quelli in cui si fa più fatica sono i mercati dell’estremo Oriente: in Cina, per esempio, è difficile riuscire a penetrare perché ci sono dei gusti molto diversi. Per il resto, in Europa, in Sud America, in Nord America, ma anche in Argentina o in Brasile i nostri prodotti sono abbastanza familiari.
Il Pandoro di Verona rappresenta un patrimonio di gusto italiano apprezzato ormai in ogni parte del mondo: la tradizione gastronomica italiana racchiude in sé quella marcia in più che può costituire il giusto catalizzatore in grado di far decollare sempre di più il Sistema Paese?
Certamente. Il cibo italiano, ma in generale lo stile di vita italiano, sta vivendo un momento molto importante. Viaggiando molto, ho avuto modo di constatare che la cucina italiana è una delle cucine più apprezzate in assoluto e che oggi si ritrova a godere di un periodo d’oro. Credo che tutto ciò sia dovuto al fatto che la nostra è una cucina semplice, perché rispetto ad altre i nostri gusti non sono troppo elaborati, non siamo soliti mescolare molti sapori con l’aggiunta di spezie o salse. Risulta quindi abbastanza trasversale nei gusti delle persone, perché la semplicità – che è allo stesso tempo gustosa – piace. Credo che quest’immagine dell’Italia all’estero sia d’aiuto per la crescita del Paese: il cibo, l’arredamento, la moda, ma anche la tecnologia, possono indubbiamente trainare l’Italia. L’Expo, per esempio, da questo punto di vista è stato d’aiuto: ha acceso i fari sulla nazione, mettendo in luce un qualcosa che comunque c’era già.
Lei è stato anche Vicepresidente di Confindustria Verona: in base alla Sua esperienza, quali ritiene siano i punti nevralgici nel rapporto tra impresa privata e Stato?
È una domanda a cui è difficile dare una risposta, perché troppo spesso le imprese contano solo su loro stesse. Uno Stato con un livello di tassazione così elevato e con una burocrazia così farraginosa non è certamente d’aiuto. Ci sono alcune iniziative di sostegno alle aziende, ma non bastano. La mia idea è che lo Stato dovrebbe limitarsi a definire le norme e poi lasciar fare alle imprese, cercando di intromettersi il meno possibile nelle questioni prettamente aziendali. Questo non mi porta comunque ad essere pessimista nei confronti del futuro delle aziende: noi siamo da sempre abituati ad avere delle difficoltà nei rapporti con lo Stato, ma ce l’abbiamo sempre fatta a sopravvivere e a crescere. Certo, se riuscissimo a non esser penalizzati dalla burocrazia e dalla tassazione, sarebbe un vantaggio. Fino ad ora questi due punti hanno rappresentato un limite e non c’è dubbio che, se le aziende sono cresciute, è solo merito delle aziende stesse.