*Paolo Del Panta è editore di All about Italy, magazine dedicato alle eccellenze italiane. Nato nel 1997 per sostenere la competitività delle imprese del nostro Paese sui mercati internazionali, All about Italy si è da sempre impegnato a promuovere la filiera italiana, diventando una vera e propria piattaforma specializzata che riunisce al suo interno importanti ambasciatori dell’italianità, rappresentando un esclusivo trait d’union tra la qualità del Bel Paese e il mercato straniero. Oggi la prestigiosa pubblicazione – che è stata anche testimone di importanti riconoscimenti, tra cui anche una medaglia celebrativa da parte della Presidenza della Repubblica Italiana consegnata in occasione del Gala Italia tenutosi a Monaco di Baviera – è distribuita in USA e in Germania, con due edizioni in lingua originale, pensate appositamente per i mercati di riferimento.
ALL ABOUT ITALY – Paolo Del Panta intervista Sandro Boscaini, Presidente Federvini
Rubrica a cura di Paolo Del Panta*
Il viaggio nell’Italia che eccelle non poteva che cominciare coinvolgendo il rappresentante di una categoria, quella vinicola, che costituisce uno dei fiori all’occhiello più profumati e ammirati del Belpaese all’estero. Con Sandro Boscaini, Presidente di Federvini, abbiamo parlato dello stato di salute del settore, della necessità del supporto pubblico e delle iniziative attivate per promuovere la cultura del vino.
Quanto incide il comparto del vino nell’economia di esportazione dei cibi italiani all’estero?
Prima di riconoscere quanto il vino ad oggi sia importante per l’esportazione del settore agroalimentare, bisogna ricordare che inizialmente è stato il cibo a trainare il vino italiano, soprattutto negli Stati Uniti e in Germania, così come nel Regno Unito o in Francia. Il driver importante per il successo del vino italiano è stata la ristorazione. Detto questo, non c’è dubbio che il comparto enologico attualmente abbia un valore importante nell’esportazione del cibo. L’incisività è dimostrata dai numeri: se consideriamo il consolidato dell’export del food, il 21% è riconducibile al vino e ai suoi derivati, rappresentando la fetta più importante, seguita a lunga distanza dai panificati, dai prodotti da forno e da frutta e verdura. Ma l’agroalimentare italiano, in generale, si presta all’esportazione più di qualunque altro settore.
L’ultimo decennio è stato molto importante: il vino italiano ha esteso in maniera incisiva i suoi orizzonti commerciali al di là dei confini nazionali. Quali sono i Paesi che richiedono maggiormente l’offerta vinicola italiana?
Gli Stati Uniti rappresentano il nostro primo mercato cliente per valore, registrando una crescita del 13,6%, a cui si aggiunge un incremento del 6,3% in volume. La Germania è invece il nostro primo cliente per volumi, secondo agli Stati Uniti per valore. Nel mercato tedesco, però, la situazione – anche se non è drammatica – ha subito un cambiamento: si è rilevata infatti una leggera flessione sia in volume che in valore, dimostrando che l’Europa continentale non è ad oggi in grandissima forma. Una situazione specifica la sia ha nel Regno Unito, dove – in particolare per effetto del prosecco – si registra un trend di crescita che corrisponde al 5,4% in quantità e a un 8,6% in valore. Altri Paesi interessati e interessanti per il vino italiano sono i Paesi nordici – Norvegia, Svezia, Danimarca e Finlandia – dove il vino italiano, e in particolare quello delle regioni del Triveneto, ha avuto un notevole exploit, tanto da assumere una posizione di primato, in particolare per i vini rossi.
I gruppi vinicoli italiani di grandi dimensioni rappresentano poco meno del 50% dell’export, dimostrando che una buona parte della nostra presenza all’estero è ancora rappresentata da aziende piccole ma dalla forte identità. Sono loro a saper sfruttare maggiormente l’appeal del made in Italy?
Indubbiamente la produzione vinicola italiana presenta una situazione particolare: una metà è rappresentata dalle aziende di grandi dimensioni con un’organizzazione strutturata, l’altra metà è invece frazionata in tantissime piccole identità. Queste ultime sono in un numero esorbitante: se noi consideriamo i circa 23 mila imbottigliatori, contiamo un massimo di 120 aziende dalle grandi dimensioni, mentre il resto è frazionato. Le realtà più piccole, ovviamente, non possono affrontare il mercato in maniera organica, e per questo si impegnano attivamente e proficuamente, riuscendo ad essere presenti in uno o più mercati e creando un buon network distributivo. Le piccole e medie imprese – spesso con la loro lunga tradizione familiare – puntano molto sull’appeal che è insito nel vino italiano, proponendone nella proposta commerciale agli altri Paesi la validità alternativa.
Crede che il sostegno delle istituzioni sia ad oggi sufficiente? E cosa occorre continuare a fare per rendere migliore l’etichetta della qualità italiana?
Il supporto istituzionale, anche in considerazione della frammentazione dell’offerta, sarebbe ed è fondamentale per l’Italia. Per capirne la necessità basta considerare la situazione che si registra in Cina: la nazione italiana – prima nella produzione in volumi e affiancata, grazie alla qualità dei prodotti, alla Francia – si colloca sul mercato cinese al sesto posto, con un misero 6%, mentre la Francia veleggia verso un 55%. Questo dà il senso della differenza tra l’impegno delle nostre istituzioni, che – devo dire – è stato molto blando: mai è stata fatta un’operazione di promozione istituzionale del vino italiano, diversamente da quanto è avvenuto in Francia, dove, proprio all’inizio dell’apertura del mercato cinese, è stata intrapresa una formativa azione di promozione della cultura del vino. Non c’è dubbio che l’internazionalizzazione del settore agroalimentare a cui il Ministero dello Sviluppo Economico ha pensato e sta pensando, attraverso il piano straordinario del Made in Italy, può essere un valido aiuto per tutto il settore agroalimentare, compreso ovviamente il comparto del vino. Noi produttori, inoltre, contiamo molto sui contributi della Comunità Europea, i cosiddetti OCM (Organizzazione Comune del mercato), importanti fondi messi a disposizione degli operatori secondo specifici criteri e successivamente allocati dal Ministero e dalle singole Regioni. L’importante, però, è che ci sia anche una chiarezza nei decreti, che devono indicare concretamente come questi fondi devono essere impiegati, quando e da chi. Questa osservazione non è banale perché, nell’utilizzare i contributi messi a disposizione del settore, molto spesso l’Italia arriva in netto ritardo rispetto ai competitor. Il sostegno istituzionale diventa necessario, anche perché induce le aziende a migliorare la loro presenza e a creare gioco di squadra.
Nei paesi esteri le Cantine sono abituate a portare avanti, e soprattutto insieme, politiche commerciali orientate alla valorizzazione del vino autoctono, come ad esempio accade in Francia con il Bordeaux. L’Italia da questo punto di vista appare più debole, perché prevale l’individualismo e la concorrenza. Cosa fare per sviluppare un’azione di sistema che mantenga nel tempo la quota di mercato raggiunta dal vino italiano?
Non c’è dubbio che ci sono delle differenze sostanziali, ma che – anche in questo caso – sono insite nel sistema di rappresentanza. La rappresentanza istituzionale in Francia, ad esempio, è molto precisa : da una parte c’è la produzione, dall’altra la commercializzazione e la promozione. Due facce della stessa medaglia che devono comunque colloquiare. Da noi il frazionamento è anche nelle rappresentanze, che molto spesso si muovono in maniera non coordinata, non creando quella sicurezza che poi rende possibili i buoni risultati. Per cui, quel che ci auguriamo è che in questo gioco di squadra nazionale ci possa essere una maggiore focalizzazione sui risultati sperati, così come una guida capace di favorire la promozione del settore e i risultati che questo merita.
Il mercato del falso Made in Italy colpisce anche il comparto enoico e ad oggi genera un fatturato ancora troppo alto per considerare arginato il problema. Quanto costa questo attacco in termini di immagine e quali azioni sono richieste per assicurare una maggiore protezione?
Su questo tema sono due gli aspetti da considerare: da una parte c’è il cosiddetto “italian sound”, cioè quel fenomeno commerciale che usa fama e successo di blasonati prodotti agroalimentari made in Italy per fare business in campo enologico e alimentare, e poi c’è la produzione del vero falso, quello che può essere effettuato all’estero, o anche in Italia, e poi esportato. Devo dire, però, che il vino forse è quello meno toccato da queste problematiche, per due ragioni: la prima è rappresentata dal regime di controllo molto efficace, la seconda è riconducibile alla già citata frammentarietà della produzione enologica. Se fino ad ora abbiamo parlato del mercato frazionato come di un problema, in questo caso appare come un vantaggio. L’enorme quantità di vini esistenti, distinti per ogni regione, fa sì che le varie etichette siano ben controllate, limitando di conseguenza la possibilità di frodi di grosse dimensioni. Ovviamente quelle che vengono messe in atto danno fastidio all’immagine e alla credibilità, motivo per cui si sta lavorando per contrastare in maniera efficace la contraffazione delle etichette.
Da un punto di vista della comunicazione del settore vinicolo, in Italia c’è una certa tendenza a considerare come target principale una fascia di età alta, mentre poco si guarda ai giovani. Non crede che – sebbene si possa pensare che la loro fidelizzazione sia minore – si debba invece cercare di potenziare le attività comunicative rivolte ai giovani – sfruttando ovviamente le nuove tecnologie – così da avviare nel tempo anche una maggiore sensibilizzazione alla "cultura del vino" da parte dei Millenials?
Non c’è dubbio che questo tipo di coinvolgimento sia importante, ma bisogna anche tener conto che ci si muove in un ambito dove non si devono fare errori, diffondendo messaggi non corretti. Noi come Federvini, insieme a Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi), stiamo lavorando su un progetto pilota nel padovano, che potrebbe essere sviluppato anche in altre province o anche proposto al Ministero della Sanità affinché sia poi adottato in tutto il Paese. Il progetto consiste nell’istituire delle figure professionali, nell’ambito dei pubblici esercizi, in grado di promuovere il senso della qualità del prodotto e della qualità del bere. Al fine di prevenire l’abuso è importante diffondere anche l’idea che il vino è un prodotto culturale che custodisce al suo interno tanti significati: tradizione, storia, innovazione e bellezza del territorio. La filosofia mediterranea del “di tutto prendere gioia ma di nulla abusare” è la nostra bussola per affrontare questo tema e approcciarci ai più giovani, al fine di renderli più riflessivi e più attenti a quel che si beve. Solo così apprezzeranno il gusto e non l’abuso.