Un fine che può essere anche giusto, ma un mezzo che più sbagliato non si può. A farne le spese, come troppo spesso accade, il corpo femminile, la visione e la concezione che di esso si ha ormai convenzionalmente da parte di tutti.
Parliamo della ormai nota campagna #TrivellaTuaSorella, ideata dall’agenzia di comunicazione Be Shaped che ha sollevato, e continua a farlo, un polverone mediatico.
Per sensibilizzare sul referendum del 17 aprile prossimo – quello in cui gli italiani sono invitati a esprimersi a riguardo della perforazione dei fondali del Mare Adriatico a scopi petroliferi – l’agenzia ha lanciato questo “simpaticissimo” hashtag correlato da un’immagine altrettanto simpatica.
Le critiche sono state praticamente immediate, con la rivolta da parte dei social e la presa di posizione polemica da parte di testate e blog. Si tratta di un’iniziativa non commissionata dal comitato No Triv, che si è anzi dissociato.
A quel punto, Be Shaped ha cancellato il messaggio incriminato, con una lunga risposta su Facebook per spiegare le intenzioni della campagna:
“Qualche giorno fa abbiamo pubblicato un banner inerente la campagna referendaria che il 17 Aprile prossimo ci chiama ad esprimerci per non consentire che le concessioni petrolifere in essere siano prolungate oltre le naturali scadenze, votando Sì.
Il banner, successivo a quello del 9 marzo ancora presente su questa pagina (che non è stato pubblicato quindi, come erroneamente è stato detto, per rimediare al secondo) riprendeva una campagna non di nostra invenzione – #trivellatuasorella per l’appunto (ma esiste anche un #trivellamammt a quanto ci risulta) – con un’immagine che ha infastidito molti utenti perché ritenuta sessista e lesiva dell’immagine delle donne.
Posto che non fosse certamente questo il messaggio che intendevamo lanciare, ci scusiamo se con troppa leggerezza abbiamo trascurato di valutare come sarebbe stata accolta la suddetta immagine. Nostro intento era quello di associare lo stupro che si vuole fare dei nostri mari, per motivi legati esclusivamente agli interessi economici di pochi, alla violenza che viene usata contro il corpo di una donna. “Se vuoi stuprare il nostro mare, cui siamo legati per cultura, tradizione, amore viscerale, perché allora non fai la stessa cosa a tua sorella, intesa come una persona alla quale sei intimamente legato, alla quale non faresti mai del male?”. Questo era il senso per noi dell’operazione”.
Peccato che tale senso sia stato espresso nel peggiore dei modi. Possibile che nel 2016, per poter lanciare un messaggio che colpisca e che venga percepito con forza, sia ancora necessario dover sfruttare un’immagine sessista (perché non c’è altro modo per definirla) della donna? Possibile che un intero team di creativi, pagato teoricamente per la sua “creatività”, non sia capace di concepire campagne efficaci che non debbano per forza di cose ricorrere allo stereotipo di umiliazione del corpo femminile?
Quotidianamente sono tante le battaglie che vengono portate avanti dalla collettività, affamata molto spesso di evoluzione, di uguaglianza, di riconoscimento di diritti per tutti. Un desiderio di uscire dal Medioevo insomma.
Ma se poi, per poter “sensibilizzare sull’argomento”, l’asso nella manica che si vuole tirar fuori è quello della solita battuta che coinvolge “tua sorella, tua madre, tua nonna ecc.”, evidentemente nel Medioevo ci siamo ancora dentro fino al collo.
Le cose si cambiano anche da un uso più corretto e consapevole dello strumento a disposizione di tutti: la parola. Non sempre la scusa dell’ironia o del marketing è bastevole per poter giustificare degli utilizzi di termini ed espressioni come quello di #TrivellaTuaSorella.
In questo caso, di fondo, c’è solo povertà intellettuale. E tanta, tanta tristezza.