Da una sede a Roma a una a Milano, arrivando poi a Madrid, Londra, Berlino, Dubai e Rio De Janeiro. Da quel lontano 1976, anno di nascita di Filmmaster, di strada ne è stata fatta parecchia: oggi questa casa di produzione di spot pubblicitari è diventata leader di mercato in Europa e tra le prime nel mondo delle comunicazione audiovisiva. Per dare il meglio in ogni ambito, ecco che questa realtà si è fatta in tre: Filmmaster Productions, Filmmaster Events e Filmmaster Mea (Middle East & Africa). Le evoluzioni però non sono finite qui, così come le prestigiose collaborazioni con artisti del cinema e della fotografia che hanno gravitato, o che continuano a farlo, nella scuderia dei talenti di questa azienda. Lorenzo Cefis, CEO di Filmmaster Productions, ci ha parlato di cosa si cela dietro una lunga carriera di successi e di come si risponde in maniera vincente alle rapide mutazioni del mercato.
Quarant’anni vissuti all’insegna del talento: intervista a Lorenzo Cefis, CEO di Filmmaster Productions
Il brand Filmmaster nasce nel 1976 e in questi quarant’anni di attività si è molto evoluto, partendo da “semplice” casa di produzione di spot fino ad andare a toccare il settore dei grandi show, dell’intrattenimento e così via. Come avete fatto a mutare con successo in questi anni, riuscendo anche a coniugare la vostra creatività con i nuovi strumenti di comunicazione?
Una casa di produzione vive principalmente di talento: la ricerca di talento è sicuramente la chiave del successo per una struttura come la nostra. Questo comporta il dover tenere le antenne sempre tese e rivolte alle nuove esigenze di mercato. Siamo passati da una casa di produzione di matrice romana, incentrata sui talenti del cinema, fino a una sede a Milano, incentrata sul mercato della comunicazione. Poi nel 1981 abbiamo creato una società di eventi (oggi Filmmaster Events) perché quel settore si era da subito profilato come interessante, essendo anche un’applicazione di quella che è per l’appunto la capacità produttiva della casa di produzione. Oggi le dinamiche della comunicazione sono drammaticamente cambiate: abbiamo deciso di approcciare il mondo dei contenuti partendo prima dalla unit interna, Filmmini (votata alla produzione di contenuti non tradizionali), per giungere all’acquisizione di Userfarm. Una modalità produttiva quindi completamente diversa, che fa della crowd, della folla una realtà prestata al mondo della comunicazione.
A proposito di Userfarm, cosa vi aspettate da questa acquisizione? Quali sono i progetti che volete portare a termine con questa piattaforma?
Vorremmo realizzare i progetti “nativi digitali”, quei progetti che il cliente oggi cerca con sempre maggiore attenzione e che sono i contenuti che ogni azienda ha l’esigenza di mandare in onda con continuità e alta frequenza. Non hanno un budget come quello delle produzioni tradizionali e hanno una logica produttiva diversa, non potendo essere appesantiti dalla filiera tradizionale delle produzione canoniche. Ci aspettiamo un effetto sinergico tra queste produzioni e le nostre, dal momento che c’è totale complementarietà tra le due strutture. Abbiamo già lavorato su due progetti: Vodafone – Favole e Radio Deejay. Sono film nati dalla crowd e sono piaciuti molto al cliente, che li ha voluti poi produrre in modo più “tradizionale”. Spesso la freschezza delle idee che partono dal basso sfociano in progetti che hanno una creatività e un fascino diversi rispetto a quelli che normalmente riceviamo e produciamo. Si tratta di una risorsa molto interessante per le agenzie e per i clienti, un nuovo strumento che permette di dare un’ampiezza differente ai brand.
Prima ha parlato del talento. Guardando il vostro curriculum, si vede come avete lavorato in passato con grandi nomi del cinema e della fotografia. Cosa vi colpisce di un determinato artista? Qual è l’elemento che trovate in questi professionisti che vi fa capire che sono le persone giuste per collaborare con la vostra realtà?
Credo ci sia molta sensibilità da parte di chi si occupa di cercare i talenti. Ci sono poi la curiosità, l’empatia, le affinità che fanno sì che si crei una relazione continuativa con gli artisti più diversi. La capacità di cercare del talento è qualcosa che uno ha ed è una dote innata, che ovviamente si può poi coltivare nel corso degli anni. I rapporti, le esclusive si creano con una consuetudine a lavoro: ci sono delle persone che hanno un dna che collima bene con Filmmaster e altre meno. Devo dire che la nostra realtà è un luogo dove questi talenti si sentono a casa, i registi si sentono protetti e realizzati.
Lei prima ha accennato ai drammatici mutamenti del panorama della comunicazione. Qual è la difficoltà principale che riscontrate oggi nel vostro lavoro, dovendo poi coniugare la vostra idea di creatività e il desiderio del committente?
Noi riceviamo la creatività, poi la possiamo plasmare e mettere in scena al meglio: una buona casa di produzione la si riconosce quando sa fare il “crafting”, ossia mettere in atto un’idea e renderla vivibile e notiziabile, facendolo bene. Un’idea deve avere la possibilità di esprimersi cinematograficamente nel migliore dei modi e l’individuazione di un talento, di un regista che sia in grado di esprimere al meglio un’idea è la chiave di volta per il successo. Il cambiamento drammatico è dovuto al fatto che c’è stata un’accelerazione straordinaria di progetti che hanno una destinazione poliedrica o che non sono tradizionali, con formati, lunghezze e applicazioni differenti. C’è arrivato un progetto per produrre dei contenuti (non vengono più definiti “campagna”) sponsorizzati da un brand in formato 9:16, non i canonici 16:9. Questo è un esempio di come il nostro panorama sia in costante evoluzione e di come dobbiamo adeguarci rispondendo con rapidità alla dinamicità del mercato. I creativi sono giovani e curiosi, vogliono sperimentare in continuazione: se non diamo dei feedback altrettanto rapidi, soccomberemo alla velocità degli altri.
Lucia Mancini