Sineglossa Creative Ground è un’organizzazione formata da artisti, sociologi e comunicatori che applica le metodologie creative e le tecnologie digitali per potenziare la competitività aziendale tramite interventi misurabili e personalizzati, al fine di generare soluzioni e processi innovativi, negli ambiti del marketing, della cultura aziendale, della ricerca e sviluppo (Arte in business e Art for training). Sineglossa si occupa di strutturare percorsi formativi, workshop e progetti di ricerca incentrati sulla commistione tra creatività e mondo del lavoro (Art + B Festival) e di valorizzare territori, percorsi turistici e luoghi culturali (Art Walks).
Per conoscere meglio questa realtà innovativa, in grado di rendere l’arte e la creazione artistica strumenti efficaci di comunicazione per l’innovazione d’impresa, abbiamo intervistato Alessia Tripaldi, co-fondatrice di Sineglossa e responsabile dell’Area Formazione e Ricerca.
Quali sono le peculiarità dell’organizzazione Sineglossa Creative Ground?
Sineglossa applica i processi di ricerca e pensiero dell’arte contemporanea a contesti non artistici – imprese, centri di ricerca scientifica, Pubbliche Amministrazioni –, con l’obiettivo di stimolare la nascita di nuovi modelli di sviluppo. Il mondo in cui viviamo ci pone di fronte a sfide enormi, dall’urgenza di contrastare i cambiamenti climatici alla rivoluzione tecnologia rappresentata dall’Intelligenza Artificiale: per rispondere a queste sfide è necessario cambiare il modo in cui agiamo, e prima ancora il modo in cui pensiamo. Gli artisti hanno le competenze per contribuire alla creazione di nuovi modelli. Non mi riferisco alle competenze tecniche, ma a quelle personali, le cosiddette soft skills: gli artisti rompono gli schemi precostituiti generando idee dirompenti, creano relazioni di natura empatica, imparano dai fallimenti: queste competenze, queste soft skills, sono le stesse che caratterizzano i processi innovativi, basta mettere insieme gli artisti e i contesti in cui si produce innovazione. Ecco, noi siamo il ponte che rende possibile questo collegamento.
In quali settore opera l’organizzazione e quali strategie mette in campo?
La nostra strategia si muove su un doppio binario: ricerca e azione. Da una parte ci sono i progetti di ricerca, attraverso i quali indaghiamo i bisogni relativi all’innovazione e sviluppiamo nuove metodologie in risposta ai bisogni individuati; dall’altra ci sono gli interventi che ideiamo e realizziamo, che agiscono principalmente su tre aree: Arte ed Economia, Arte e Scienza, Arte e Società. Queste tre aree spesso si intersecano, provocando ricadute l’una sull’altra e dando vita a ecosistemi in cui soggetti diversi lavorano insieme in vista di uno stesso obiettivo. Per sensibilizzare i pubblici ai nostri temi e diffondere le buone pratiche che scopriamo in giro per il mondo abbiamo inoltre creato un festival, art+b=love(?), il primo festival italiano espressamente dedicato al potere innovatore dell’arte. La casa madre del festival è Ancona, la città in cui ha sede la nostra organizzazione, ma da quest’anno abbiamo inaugurato una sezione “on tour”, realizzando incursioni a Verona, nell’ambito della fiera ArtVerona, e a Ivrea, nell’ambito di Datapoiesis, un progetto ospitato dalle ex Fabbriche Olivetti, che non a caso sono il sancta sanctorum della relazione tra cultura e impresa.
In che modo è possibile realizzare innovazione culturale nel nostro paese?
Portando la cultura fuori dai luoghi deputati alla cultura. Finché nell’immaginario collettivo la cultura rimarrà relegata al ruolo di “produttrice di intrattenimento” non si potrà veramente parlare di innovazione culturale. Il nostro riferimento è il Rinascimento, non quello delle cartoline patinate che vendiamo ai turisti, ma il periodo capace di produrre grandi innovazioni grazie all’incontro tra artisti, scienziati, umanisti, politici, uniti alla stessa corte per immaginare insieme nuovi scenari possibili, ognuno a partire dalla propria visione. È da questa influenza reciproca tra ambiti apparentemente distanti – da questa contaminazione – che siamo partiti per riportare la cultura a un ruolo attivo e integrato nella società.
Può raccontarci alcune case history significative rispetto alle vostre attività?
Nell’ultimo anno ci siamo concentrati in modo particolare sulla relazione uomo/macchina, intercettando un bisogno molto diffuso: capire come relazionarsi alle Intelligenze Artificiali. Abbiamo quindi iniziato a realizzare interventi che hanno l’obiettivo di far capire cos’è e cosa può fare un’IA, per superare i pregiudizi e aiutare artisti, imprese e cittadini a integrarla nella propria quotidianità. Con Salvatore Iaconesi e Oriana Persico, il duo artistico di AOS – Art is Open Source, abbiamo creato IAQOS, la prima Intelligenza Artificiale di Quartiere Open Source. A differenza delle altre IA, IAQOS non funziona in maniera estrattiva, ma interattiva. I dati di cui si “nutre” derivano dalla relazione diretta con gli abitanti del quartiere romano di Torpignattara, che le hanno insegnato a conoscere il proprio territorio, per interrogarsi insieme su come un’IA possa contribuire a migliorarlo. Con l’artista Emilio Vavarella, vincitore dell’Italian Council, abbiamo invece realizzato un workshop i cui protagonisti erano dodici imprenditori e Alexa, l’Intelligenza Artificiale sviluppata da Amazon. Grazie all’interazione tra l’algoritmo di Alexa e la creatività degli imprenditori è nata un’installazione artistica, Amazon’s Cabinet of Curiosities, caratterizzata dall’integrazione tra due modelli di pensiero, quello artificiale e quello umano. Sono due esempi di come la visionarietà artistica sia in grado di produrre un punto di vista “laterale” ed empatico per immaginare nuovi scenari, in questo caso legati ai possibili impatti sociali ed economici dell’IA.
Quali sono le prospettive dell’organizzazione per il prossimo futuro?
Il tema della relazione uomo/macchina sarà protagonista dei progetti che abbiamo appena intrapreso, portando IAQOS ad Ancona e Bolzano, due città molto diverse dal punto di vista socio-economico e di conseguenza anche da quello dei bisogni che esprimono. La sfida è capire come in contesti differenti un’Intelligenza Artificiale possa diventare un membro attivo di una comunità, contribuendo a migliorare la qualità della vita dei luoghi interessati. A maggio poi andrà in scena la quarta edizione del festival art+b=love(?), che quest’anno sarà dedicata al fallimento. Tutti sappiamo che per realizzare progetti innovativi è necessario passare per il fallimento, ma tutti temiamo di fallire. Il festival intende contribuire alla risoluzione di questo corto circuito proponendo esperienze e buone pratiche in cui un fallimento si è rivelato un’occasione di riscatto. Del resto, questa è la ragione per cui il titolo del nostro festival si chiude con un punto interrogativo: per quanto l’ignoto rappresentato da quel punto interrogativo possa far paura, vogliamo sempre tenere a mente che l’unica strada per produrre un vero cambiamento è non smettere di farsi domande.
Elisabetta Pasca