Una nomina recente quella di Daniele Sesini, eletto dal Consiglio Direttivo di IAB Italia nuovo Direttore Generale. Una scelta non casuale dato il ricco curriculum che Sesini porta con sé, che lo vede in prima fila nel mercato editoriale e pubblicitario dove ha lavorato per 16 anni. Il mondo del marketing lo ha da subito affascinato, catturandolo non appena è uscito dal Politecnico di Milano con una laurea in Ingegneria Aeronautica, ma evidentemente non era quella la sua strada. Il suo percorso lo ha portato a lavorare (tra gli altri) per Telecom e per la concessionaria A. Manzoni & C. (del Gruppo L’Espresso), permettendogli di fare esperienze di importanza fondamentale che lo hanno introdotto alle logiche di produzione del web e del mercato pubblicitario. Elementi, questi, che rendono preziosa la sua presenza in IAB Italia, dove avrà la responsabilità della gestione economica e finanziaria e, coordinando lo staff dell’Associazione, si occuperà della relazione con i soci, gli stakeholder e le altre associazioni, supervisionerà tutte le attività ed eventi nei quali IAB Italia sarà impegnata e avrà un ruolo fondamentale nella diffusione della cultura digitale a diversi livelli. Abbiamo contatto Daniele Sesini per parlare con lui di queste sue attività e del panorama digitale in continua evoluzione.

Intervista a Daniele Sesini, Direttore Generale di IAB Italia
Durante la sua carriera, lei ha in un certo senso vissuto il passaggio dal mercato editoriale stampato a quello digitale: quali sono secondo lei le necessità e le strategie che richiedono questi due ambiti?
Ci sono in realtà due temi: il primo è la qualità del contenuto. Quando si decide di fare l’editore, la prima cosa importante è il prodotto, cosa si vuole proporre al mercato degli utenti prima ancora che a quello pubblicitario. Avendo lavorato a fianco di diversi editori di qualità, come ad esempio Repubblica, ho appurato che non si può prescindere dal valore del contenuto. L’attività di giornalista per carta stampata è ovviamente diversa rispetto a quella per il web: nel mondo di internet fare il giornalista richiede la conoscenza di alcuni meccanismi (come il seo, i tagli che internet chiede per una fruizione rapida ecc…) che diversificano questo mestiere rispetto a quello per la carta stampata. L’uguaglianza di fondo, però, resta la capacità di produrre contenuti di qualità e accattivanti. Da un punto di vista editoriale, quello che cambia è la capacità di governare l’elemento tecnologico, il secondo aspetto. Nel mondo digitale ci sono piattaforme e codici dalla cui corretta gestione dipende notevolmente il risultato della comunicazione. Un bellissimo articolo pubblicato in maniera ottimale (rispettando dunque tutti i parametri) può ottenere anche 100 mila visite in un’ora; lo stesso articolo pubblicato senza i dovuti accorgimenti può arrivare a fare anche solo un decimo di quelle visite. C’è una componente importante di questo risultato che quindi non è legata alla qualità del contenuto, ma alla qualità della scelta tecnologica a supporto del contenuto stesso e della sua erogazione sulle piattaforme del web. Da un punto di vista pubblicitario, c’è grande differenza: la capacità di oggi di monetizzare il mondo digitale è strettamente legata ai grossi volumi. Il costo contatto su internet è in qualche caso svilito, bisogna recuperare l’importanza del mezzo. Questo costringe gli editori a inseguire grossi volumi altrimenti non si sostengono i costi.
L’attuale fase della comunicazione digitale è una fase delicata, con delle regole ancora in via di definizione. Quali sono secondo lei le nuove sfide che i professionisti di questo settore si trovano ad affrontare oggi?
Sicuramente ci sono dei tavoli aperti e delle sfide che si stanno affrontando ora: tra queste c’è senz’altro il settore del mobile che sta crescendo molto rapidamente e che ben presto diventerà preponderante rispetto alla fruizione classica da desktop. Si sta affrontando anche il tema dei social media: l’entry point resta Google, ma ad esso si sono affiancati Facebook e gli altri social network. Tutto questo, per un editore e per una concessionaria di pubblicità, cambia le regole del gioco. Bisogna pensare a seguire un traffico naturale, con gli utenti fidelizzati alla propria testata, a seguire un traffico organico dal motore di ricerca, gestendo le cose in maniera ottimizzata (seo), e a occuparsi di social media marketing. In tutto ciò, gli operatori del web devono aumentare sempre più le loro specializzazioni e conoscenze. L’apporto di IAB, la sua mission, è quella di fare chiarezza, di regolamentare le policy, gli standard e i formati, e di fare formazione al mercato: questo lavoro diviene oggi centrale, sempre più importante.
Per quanto riguarda la formazione, tra l’altro, noi di IAB Italia abbiamo attivato la IAB Academy, con contenuti video disponibili per gli associati a 19 euro al mese e per i non associati a 29 euro. Il tema della formazione è un argomento che a IAB sta molto a cuore perché l’evoluzione del mercato con il quale ci confrontiamo ogni giorno chiede preparazione e chiarezza.
Il tema del native advertising è stato al centro dello IAB Seminar di aprile. È un argomento che verrà affrontato anche in futuro?
Il native advertising è una strategia in crescita del mercato pubblicitario. Nel 2014 ci sono stati circa 2 miliardi di euro di investimenti in questo settore, una crescita del 12,7% rispetto al 2013 e legata ad alcuni comparti, tra cui il native appunto. IAB ha organizzato un intero seminar sul native e a ottobre ci occuperemo di un seminar sul programmatic. Ci saranno altri tavoli di lavoro incentrati su altri temi che stiamo valutando, occasioni importanti per fare il punto della situazione e analizzare i prossimi trend, continuando comunque a portare avanti la riflessione sul native.
Lucia Mancini