Da un piccolo magazzino berlinese alla conquista di 14 paesi europei: sembra una fiaba figlia della postmodernità capitalistica ma è la concreta escalation della piattaforma di e-commerce Zalando, un percorso fatto a grandi passi e sostenuto da un management giovane e proiettato nel futuro. Conoscere il cliente e investire su tecnologia e logistica per poter intuire le tendenze e sfruttare ogni potenzialità del mercato: questi alcuni ingredienti per una storia aziendale breve ma di grande successo, anche perché, come ci ha raccontato Giuseppe Tamola, Country Manager Italia e Spagna Zalando, la fiducia del cliente si costruisce anche sbagliando, basta saper chiedere scusa.
Zalando nasce a Berlino nel 2008 con un magazzino collocato in un seminterrato: i magazzinieri venivano scelti in base all’altezza, più erano minuti più potevano essere veloci nello spostamento della merce. Oggi Zalando è una realtà importante nel panorama dell’e-commerce e conta una presenza in 14 paesi europei: come è avvenuta questa crescita esponenziale e in che modo è stato possibile rapportarsi con mercati dalle esigenze così variegate?
Le direttrici di crescita che abbiamo visualizzato si sono mosse fondamentalmente in due direzioni: da una parte la crescita per Paese – quindi dall’asse Germania/Svizzera, passando da Scandinavia e Spagna, fino ai quattro angoli d’Europa – dall’altra la crescita per categorie. Soprattutto nel passaggio tra 2011 e 2013 la crescita per Paese è stata molto rilevante, mentre, in merito alla componente di espansione per categorie, ci siamo resi conto ben presto che se un cliente già acquistava un determinato tipo di prodotto da Zalando, ossia le scarpe, diventava poi semplice e naturale allargare le tipologie proposte e acquistate. Certo, quando si va ad operare su diversi mercati, le difficoltà sono senz’altro molteplici: innanzitutto sono differenti le modalità logistiche, per questo abbiamo dovuto effettuare molte prove, molti trial and error. Ad esempio, quando siamo approdati in Italia abbiamo dovuto affrontare la questione del pagamento alla consegna ed è stata una specie di operazione “Jurassic Park”, perché siamo andati a rianimare un metodo di pagamento che i merchant nuovi non avevano e i merchant vecchi stavano dismettendo, ma che, fondamentalmente, rimaneva invece ben radicato nel dna dei consumer. Se si capiscono bene le abitudini dei consumatori è molto più facile offrire delle soluzioni: la conoscenza del consumatore ed essere un player locale sono fattori chiave. Inoltre è stato fondamentale aver investito fin dall’inizio sia sulla logistica che sulla tecnologia. Solo in questo modo, con questo tipo di impegno, l’acquisto online può diventare davvero un’abitudine consolidata.
Per quanto riguarda il panorama italiano, quali sono le criticità riscontrate sul nostro mercato interno – oltre all’arretratezza in campo digital – quali le strategie da attuare per superarle e quali prospettive di sviluppo è possibile intravvedere nel futuro più prossimo?
Negli ultimi 5 anni c’è stato uno sviluppo molto veloce, sono cambiate molte dinamiche. Cinque anni fa la maggior parte degli operatori logistici non era attrezzata per effettuare consegne b2c: erano abituati a interfacciarsi con le aziende e dunque parlavano solo di tonnellaggio, di orari d’ufficio e altre cose di questo genere. Chiaramente il cliente b2c ha necessità molto diverse, con consegne dai volumi molto più leggeri, anche di pochi chili. Con il nuovo commercio b2c è cambiato l’ecosistema preesistente: è dovuto cambiare tutto per poter agguantare le nuove opportunità offerte dal mercato. Ovviamente, è cambiato anche il consumatore. All’inizio, nel 2011, l’italiano medio non si fidava dei metodi di pagamento digitali. Oggi, il consumer italiano è molto attivo sul mobile, molto più presente e molto più aggressivo che in altri paesi europei. In realtà questo avviene più per necessità che per virtù, in quanto in Italia non avendo banda larga e fibra ottica sufficiente, la tecnologia mobile è quella che fattivamente ha spinto maggiormente gli italiani su Internet. Si è passati dal paradigma dell’Europa dell’Ovest, in cui abbiamo desktop, desktop più connessione internet e smartphone, al paradigma italiano, in cui si è passati quasi direttamente dal non avere nulla agli smartphone. In Italia, molti dei nuovi mobile users sono new technology into the internet e into the e-commerce. Le sfide cambiano e cambia anche il ruolo della tv. La televisione era fondamentale nel 2011 e 2012, quando siamo partiti con campagne molto intense. Oggi la tv è ancora molto importante in Italia, uno dei paesi al mondo che più ne consuma, ma il mobile si attesta come un fenomeno dalla portata innegabile. Occorre capire la direzione in cui vanno le persone e seguire in maniera proficua le tendenze.
Per le vendite online l’aspetto cruciale riguarda senza dubbio la cura del rapporto con il cliente: in che modo opera Zalando per instaurare una relazione di reciprocità realmente fruttuosa con i consumatori?
Zalando è sempre stata molto custumercentric, questo è davvero uno degli aspetti più interessanti del modello di business della nostra azienda. Da parte nostra, fin dall’inizio, la metrica principale era il customer lifetime value. Noi siamo customercentric in modo quasi egoistico, perché se ci comportiamo bene e il cliente è soddisfatto, torna da noi. Concretamente, abbiamo offerto una serie di servizi gratuiti per il cliente: nel momento di apice della crisi economica, mentre la maggior parte delle aziende toglieva investimenti e tagliava i servizi, noi abbiamo continuato a offrire il pagamento alla consegna gratuita, mantenendo il numero verde inserito in home page. Ci siamo resi conti che investendo nel cliente, aumentava la loyalty da parte del consumatore. Un paio di anni fa abbiamo compiuto un test molto interessante: abbiamo ringraziato il cliente dopo il primo acquisto. Abbiamo effettuato, in maniera educata e non invasiva, una telefonata per ringraziare direttamente gli acquirenti, senza mettere in campo strategie di marketing, abbiamo cercato solo di essere molto semplici e diretti. Oggi, con un volume di 16 milioni di clienti, non è possibile mantenere un rapporto one to one, ma esistono comunque degli strumenti digitali molto efficaci. Tuttavia, nonostante ci si impegni per dare sempre il massimo, può accadere che qualcosa nel nostro controllo non vada per il verso giusto, dunque, di conseguenza, ci ritroviamo a gestire tutta una serie di casi complicati. In relazione ad essi, ogni settimana io e tutti gli altri colleghi Country Manager scriviamo delle lettere di scuse a mano. In questo modo, ci si autoregolamenta, perché se il numero di lettere aumenta vuol dire di certo che occorre impegnarsi di più, ma allo stesso tempo si va ad instaurare e consolidare un rapporto molto più onesto coi clienti, in quanto se non si è stati in grado di fare qualcosa al 100% è giusto saper chiedere scusa.
Il ventaglio di offerta di Zalando è amplissimo grazie all’aggregazione multimarca: quanto è complesso il rapporto con le aziende e quali sono i vantaggi di business di una piattaforma come la vostra?
All’inizio siamo cresciuti così esponenzialmente, di quattro, cinque volte, che facevamo fatica a reperire gli stock. Ovviamente, quando siamo partiti, non potevamo immaginare una crescita del 500%: oggi invece siamo preparati, abbiamo una struttura organizzativa ben precisa, andiamo ad acquistare adesso ciò che andremo a vendere tra 6/9 mesi, senza tralasciare la complessità della dimensione logistica, poiché la merce va custodita in spazi appositi e adeguati. Il vantaggio di una piattaforma come la nostra consiste nell’aver sfruttato una scala molto grossa: Zalando è diventato Top Account per quasi tutti i brand distribuiti, siamo riusciti ad instaurare delle relazioni di fiducia che altri non sono stati in grado di raggiungere. Esistono tutta una serie di opportunità interessanti: nessuno indossa esclusivamente total look, ma preferisce mixare più brand, per cui noi andiamo a coprire un mercato più ampio. Effettivamente poi possiamo lavorare anche molto bene sulla personalizzazione: con la formula multimarca si può curare molto meglio il lato cliente. Quanto più ampio è l’assortimento, tanto più facile è offrire a chi compra esattamente ciò di cui ha bisogno. Per avere una buona personalizzazione sono necessari due ingredienti: primo, conoscere nel modo più dettagliato possibile le esigenze dei clienti e, secondo, conoscere nel modo più dettagliato possibile i prodotti. Solo così si ottiene un matching pazzesco e davvero vincente.
Recentemente in Italia Zalando ha virato decisamente la comunicazione sulla personalizzazione, incentivando e sottolineando il concetto di moda e dinamismo e offrendo ai clienti la possibilità di realizzare outfit su misura: è questa la strada da seguire per assecondare i cambiamenti e restare incisivi sul mercato?
In Italia esistono degli elementi di comunicazione che si possono personalizzare a livello molto granulare, come accade ad esempio per l’esperienza sulla app, ed elementi dove la personalizzazione è più difficile. Sul lato della customizzazione, intanto, registriamo il lato vincente della app rispetto al negozio tradizionale. Nel negozio fisico, i retailer costruiscono dei labirinti, in cui le persone vengono incanalate facendo in modo che spendano più soldi possibile nel corso del “viaggio”. Nella app non c’è un labirinto, il negozio virtuale si costruisce intorno al singolo soggetto: l’applicazione osserva e impara dalla persona e dai prodotti che l’individuo visiona, questo crea un rapporto più armonico e di fiducia. Nel caso della tv, inoltre, la comunicazione è passata da una dimensione di “education”, con campagne piuttosto lunghe, in cui ci interessava determinare quanto le persone avessero capito di un determinato messaggio, a una dimensione attuale in cui per l’azienda conta avere campagne più intense ma più corte. Oggi ci interessa mostrare che abbiamo delle competenze specifiche in alcune aree del nostro assortimento e creare una freschezza molto più forte.
Quali sono i settori di implementazione e di investimento che richiedono l’impiego di maggiori risorse economiche e concettuali?
Sicuramente nella parte tech/app stiamo investendo molto. Non è sufficiente creare una app e lasciarla lì: abbiamo dei team dedicati, circa un migliaio di persone lavorano nell’area tech e si pensa di raddoppiare il numero entro pochi mesi, mentre più di 50 persone lavorano specificatamente sulla app. Per noi è diventato difficile reperire le persone di cui abbiamo bisogno solo a Berlino, per cui abbiamo aperto hub anche a Helsinki e Dublino, dove effettivamente c’erano competenze specifiche molto interessanti. Sulla parte branding, in passato il paradigma era costruire l’awareness in tv e poi puntare sul performance marketing, mentre oggi la situazione è completamente diversa e la percentuale di investimenti sulle performance è decisamente aumentata. E poi in ultimo non tralascerei la parte logistica: abbiamo aperto un magazzino satellite in Italia, un esperimento molto interessante, è la prima volta che creiamo qualcosa fuori dai confini tedeschi. In quest’ottica continueremo a investire, sia nella parte di housing, dal nostro magazzino fino al partner logistico finale, alla parte di last mile, integrando anche nuovi provider o altri servizi.
Dopo il grande successo della linea Ivy Park, in collaborazione con Beyoncé, e il progetto Zalando per Internazionali BNL d’Italia 2016, cosa dobbiamo aspettarci di nuovo, sia sul versante prodotti, che sul versante comunicazione ed eventi?
Noi siamo partiti come e-commerce, stiamo cercando di completare il viaggio per essere un buon retailer ma siamo già proiettati nell’ottica di essere sempre di più una piattaforma. L’e-commerce segue dinamiche e metriche molto tecniche, un retailer ha un focus specifico su quelli che chiamiamo increasing events, che riguardano il buon andamento di una campagna di Natale o dell’inizio di stagione, mentre la piattaforma guarda all’intero ecosistema. Zalando è un po’ a metà tra l’essere un retailer a tutto tondo e la proiezione verso lo status di piattaforma, abbiamo ancora grandissime potenzialità, già a partire dai basic del retailer. Dal punto di vista dei prodotti, siamo impegnati ogni stagione a migliorare la nostra offerta. Nell’ultimo periodo, in Italia, abbiamo aggregato brand di prestigio, come ad esempio Versace e Furla, che fino a poco tempo fa ci sognavamo. Anche la logistica ci riserverà delle sorprese nel medio lungo periodo. Non ci fermiamo, vogliamo continuare a crescere sempre di più. Sicuramente l’app ci darà una forte accelerazione nei prossimi mesi: siamo partiti un po’ tardi ma ora siamo in ballo e miglioreremo molto velocemente.
Elisabetta Pasca