Il quadro geopolitico attuale, funestato dall’invasione militare dell’Ucraina da parte della Russia, sta già determinando delle pesanti conseguenze in campo economico: quali ricadute sono previste per le esportazioni del Made in Italy nel mondo e quali misure sarà necessario attuare per poter gestire la situazione di crisi?
Il mercato russo è storicamente molto importante per l’export italiano: fino allo scorso marzo valeva 7,7 miliardi di euro. Tra il 2013 e il 2021, in larga parte per effetto delle sanzioni post annessione Crimea, le esportazioni italiane verso la Russia hanno accumulato un calo del 29,3%, il peggiore tra i principali paesi dell’Unione Europea. Il conflitto con l’Ucraina ha messo quasi totalmente fine ai flussi commerciali per Mosca, nonché ha causato ulteriori effetti sul prezzo dei beni energetici e delle materie prime, con conseguenti ripercussioni sul settore agroalimentare italiano, che rappresenta quasi il 10% del fatturato totale dell’export dell’Italia in Russia. Si deve intavolare un dialogo, come ho ribadito più volte, con le istituzioni. La priorità è la protezione del nostro Paese.
Cosa rappresenta oggi l’etichetta “Made in Italy” nel mondo e cosa cercano, anche da un punto di vista emozionale, i consumatori stranieri nei prodotti italiani?
L’etichetta “Made in Italy” è simbolo di qualità, emozione, sapore e profumo di una terra che ha fondato la sua storia sulla produzione di bellezza e bontà. I consumatori esteri rimangono estasiati non solo dalla genuinità di ciò che toccano, assaporano o contemplano, ma anche dalla storia e dal processo di creazione che si cela dietro il più piccolo acino.
Il desiderio di Italia è talmente forte da aver generato all’estero anche il fenomeno dell’Italian Sounding: esso può rappresentare una minaccia per l’export e in che modo può essere contrastato dalle aziende italiane?
L’Italia è leader incontrastata mondiale nel Food. Un dato di fatto, che però è perennemente minacciato dal cosiddetto Italian Sounding: il nostro patrimonio alimentare è infatti messo a rischio da tutti quei falsi che, nel mondo, producono un giro d’affari di oltre 100 miliardi di euro per effetto della “pirateria internazionale” che utilizza impropriamente parole, colori, località, immagini, denominazioni e ricette che si richiamano all’Italia, per alimenti che nulla hanno a che fare con il sistema produttivo nazionale. Per contrastare l’Italian Sounding occorrerà potenziare il sistema portuale italiano, insieme a politiche di prezzo vantaggiose in relazione al costo dei container. Tutto ciò potrà facilitare il raggiungimento di questo ambizioso ma non impossibile traguardo.
Quali sono le principali criticità che gli imprenditori italiani incontrano nei processi di esportazione del Made in Italy e quali sono gli errori più comuni da evitare quando si decide di intraprendere l’avventura dell’export?
I rincari su materie prime e trasporti stanno incidendo in maniera significativa sui prezzi dei prodotti più acquistati. Un caro prezzi che colpisce, ancora una volta, non solo le tasche dei consumatori e delle famiglie italiane, ma anche quelle degli imprenditori: i prezzi dei container sono alle stelle. Un altro fattore è sicuramente quello della burocrazia.
La burocrazia rappresenta un nodo cruciale nei processi di export: come si può gestirla e quali difficoltà comporta?
Non possiamo perdere altro tempo e restare a guardare: c’è la necessità immediata di interlocuzioni dirette e costanti con controparti estere. Non possiamo restare schiacciati da meccanismi europei di farraginosa burocrazia che in questo momento frenano soltanto la nostra capacità di penetrazione dei mercati. L’export è il punto nevralgico e centrale per l’economia del nostro Paese e non può limitarsi a essere ‘un tema’ del governo di questo Paese, ma ‘il tema’ da affrontare. Lo dobbiamo alle nostre imprese, agli artigiani e lavoratori italiani che sanno essere eccellenza producendo arte, qualità e bellezza.
In relazione al mercato statunitense, dove il Made in Italy, dal food alla moda, è particolarmente apprezzato, quali sono i prodotti italiani più amati e richiesti, in grado di far sognare gli americani, colorandone l’immaginario di tricolore?
La mia azienda è molto concentrata negli States, anzi su 11 stati americani per la precisione. Sulla base di questa esperienza, posso dire che il Food è il settore di maggiore esportazione verso gli Stati Uniti e che esso non è un lusso, anzi, ciò che fa THE ONE è renderlo accessibile a tutti. I prodotti alimentari italiani sono sinonimo di qualità e competenza, correttezza mista al grande gusto, e sono assolutamente accessibili. Il Claim dei miei ragazzi in USA è “Spendi tanto per ciò che indossi quindi metti fuori dal corpo? BENE! Spendi il giusto anche per ciò che metti dentro al corpo”. I prodotti italiani che sono più diffusi all’estero sono: mozzarella, pasta, pizza, formaggi ed affettati.
Come potrà evolvere l’esportazione del Made in Italy nel prossimo futuro, che tipo di azioni dovrebbero intraprendere le istituzioni insieme alle imprese e quali consigli dovrebbero seguire gli imprenditori per percorrere con sempre maggiore successo questo cammino?
L’accordo stilato tra la Farnesina e il Forum Italiano dell’Export, sulla nascita di un vero e proprio gruppo di lavoro, per la creazione della figura professionale dell’Export Manager, va in quella direzione. Formazione significa far prendere atto all’azienda di quanto sia importante il ruolo di questo professionista all’interno della stessa, ma anche creare donne e uomini che sappiano ben gestire un processo di esportazione e far crescere i numeri di fatturato all’estero, rivolgendosi in primis ai mercati maturi, quelli più facilmente aggredibili, per poi pianificare, passo dopo passo, la penetrazione di nuovi mercati, guardando alle nuove geografie economiche.
Elisabetta Pasca