Alcuni tra i più comuni meccanismi di difesa psicologici messi in atto dalle donne vittime di violenza sono:
- Negazione: La negazione è una risposta comunemente attuata dalle donne durante le prime fasi della violenza. Consiste nel proteggersi da una situazione traumatica evitando di guardarla e mettendo da parte o eclissando gli aspetti dolorosi e insostenibili della realtà. Coloro che mettono in atto questo meccanismo spesso tendono a minimizzare o addirittura a giustificare il comportamento dell’aggressore. La negazione può essere molto pericolosa, in quanto potrebbe portare la donna a non proteggersi da possibili nuovi maltrattamenti o abusi.
- Evitamento: L’evitamento indica l’impossibilità di confrontarsi con un’esperienza traumatica. Nel raccontare le violenze subite, le donne che attuano questo meccanismo tendono spesso a perdersi in dettagli superflui, mantenendo una certa distanza dal problema principale. In molti casi si nota anche la tendenza a evitare situazioni che possano provocare e far “scattare” l’aggressore. L’evitamento può portare le donne a illudersi di aver trovato una strategia efficace con cui gestire la situazione e ciò può causare la procrastinazione della denuncia.
- Dissociazione e depersonalizzazione: La dissociazione è una strategia difensiva che aiuta a distanziarsi da una situazione intollerabile, in cui non c’è altra via d’uscita per sottrarsi alla violenza. La dissociazione è un sintomo tipico del disturbo post traumatico da stress e consiste nel distaccarsi con la mente da ciò che procura dolore e dalle emozioni associate, nel tentativo di attenuarne l’impatto e proteggersi. In alcuni casi, questo meccanismo di sopprimere il dolore emotivo attraverso la disconnessione può prendere la forma della depersonalizzazione: le vittime possono sentirsi come spettatrici della propria vita, quasi come se la violenza stia accadendo a qualcun altro, contribuendo a distanziare l’esperienza traumatica.
- Minimizzazione: La minimizzazione consiste nel sottostimare e minimizzare gli atti violenti, considerandoli meno gravi di quanto siano in realtà. Questo meccanismo può sì contribuire a ridurre il dolore emotivo, ma potrebbe, al contempo, mettere seriamente a rischio l’incolumità delle donne che lo attuano.
- Razionalizzazione: Tale meccanismo consiste in una giustificazione razionale del comportamento dell’aggressore da parte della vittima che, in questo modo, tenta di gestire e tenere a distanza le proprie emozioni. È così che la donna cerca di spiegare e giustificare il comportamento violento del partner attribuendolo a fattori esterni, come lo stress, la gelosia o problemi personali.
- Idealizzazione: Idealizzare qualcuno significa concentrarsi sulle sue qualità positive, ignorandone i difetti. Questo meccanismo può far sì che la donna si focalizzi esclusivamente sui momenti positivi trascorsi col partner, bloccando l’accesso alle memorie traumatiche e impedendole, così, di vedere gli aspetti abusivi della relazione e allontanarsene. In alcuni casi l’idealizzazione può essere sostenuta da alcune credenze disfunzionali, come l’idea che atteggiamenti di gelosia e controllo siano indici dell’attaccamento del partner.
“I meccanismi di difesa utilizzati dalle vittime di violenza possono essere il riflesso del contesto sociale o familiare in cui esse si trovano a vivere. Può accadere, infatti, che le donne che chiedono aiuto, invece di ricevere comprensione e supporto, si trovino a scontrarsi con un muro di indifferenza, biasimo e giustificazioni. Ciò può contribuire a minarne l’autostima e a consolidarne il senso di impotenza appresa, sfiducia e ambivalenza, portandole, così, inevitabilmente a oscillare tra il pensiero di andare via e l’idea contrastante che restare e resistere porterà a un cambiamento. In queste circostanze si possono sperimentare intense emozioni, come, ad esempio, la vergogna per ciò che gli altri potrebbero pensare di quanto vissuto, il timore di essere fraintese dalla società o di non essere credute, il senso di colpa per quanto un’esperienza di violenza subita possa incidere sulla famiglia, la tristezza per il deterioramento delle relazioni e la paura di possibili ritorsioni. Tutto questo può contribuire a far diventare le donne vittima di violenza ancora più vulnerabili e render loro ancora più difficile tutelare sé stesse”, ha commentato la Dottoressa Valeria Fiorenza Perris.
Dalla violenza si esce: la psicoterapia a supporto delle donne vittime di abusi.
“Prendere consapevolezza di essere vittime di violenza non è semplice e decidere di reagire, anche con una denuncia, può costituire una sfida ancora più grande. La terapia psicologica può rappresentare un primo passo: potersi esprimere liberamente, in uno spazio sicuro, riservato e privo di giudizio, sentendosi ascoltate e accolte è, infatti, un passaggio chiave per poter prendere maggiore coscienza di sé e dei soprusi subiti. Inoltre, il ciclo della violenza espone coloro che ne sono vittime a molteplici fattori di rischio. Alcune donne, a seguito delle aggressioni vissute, potrebbero sviluppare disturbi da stress post-traumatico, che necessitano di cure e interventi specifici. Tra i compiti del terapeuta ci sarà anche quello di aiutare la donna a riconoscere i comportamenti violenti e a comprendere tutti quei meccanismi, incluse le difese psicologiche, che possono intrappolarla in una relazione abusante. Sarà poi importante individuare e rafforzare le risorse personali e quelle presenti nell’ambiente, indirizzando la paziente verso servizi locali specializzati nella gestione della violenza di genere. Infine, è essenziale che la donna si senta accompagnata, sostenuta e supportata nel processo di allontanamento dall’aggressore. La terapia, infatti, oltre al supporto emotivo, può fornire anche strumenti pratici e risorse che contribuiscono a far sì che la donna riacquisisca pian piano il controllo della propria vita, elaborando i vissuti traumatici, riconquistando la propria autostima, ma soprattutto la capacità di curare e amare sé stessa. Infine, è importante ribadire il messaggio che dalla violenza è possibile uscire. Con il tempo e gli aiuti adeguati, ogni donna vittima di violenza può a riscoprire il proprio valore e costruire un percorso di rinascita dopo l’esperienza traumatica della violenza”, ha dichiarato la Dottoressa Valeria Fiorenza Perris, Psicoterapeuta e Clinical Director del servizio di psicologia online Unobravo.
Cosa fare se si è vittime di violenza.
Anche una volta presa coscienza di essere state vittime di violenze fisiche o psicologiche, sono molte coloro che sono restie a chiedere aiuto o non sanno a chi rivolgersi. La tempestività dell’intervento e della denuncia, però, può essere salvifica. Le donne vittime di abusi possono trovare supporto al numero antiviolenza e stalking 1522, gratuito e attivo 24h su 24. A seguito della richiesta di aiuto, si può venire affidate a un centro antiviolenza nella propria città. La presa in carico prevede un accompagnamento psicologico, un supporto medico e giudiziario. I costi giudiziari sono a libero patrocinio: non sostenuti dalla vittima, ma dallo Stato. Anche in caso di ricovero presso strutture sanitarie e di alloggio in case-famiglia, le donne abusate sono difese in modo totalmente gratuito.
Come aiutare una donna vittima di violenza?
“Per prima cosa è essenziale sospendere ogni forma di giudizio e mostrare, invece, ascolto e comprensione. L’istinto di chi osserva dall’esterno è spesso quello di voler offrire un aiuto immediato, incoraggiando la vittima a uscire quanto prima dalla relazione violenta. Purtroppo, questo approccio può risultare fallimentare e generare frustrazione e senso di impotenza sia nella vittima che nella persona che ha offerto il suo aiuto. È importante comprendere che le vittime di violenza necessitano spesso di tempo, sia per prendere consapevolezza della situazione che stanno vivendo, sia per contrastarla . L’aiuto più prezioso che possiamo dare è essere presenti e mostrarci come un punto di riferimento, pronti a intervenire al momento giusto”, ha commentato la Dottoressa Valeria Fiorenza Perris.
Ognuno di noi può contribuire in prima persona a spezzare l’eredità di violenza.
“Ciascuno di noi, sia uomo che donna, può fare molto per far sì che la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne passi dall’essere un momento di urgenza e lotta contro la violenza di genere a un’occasione in cui celebrare i traguardi raggiunti dalla nostra società. Ognuno di noi ha un ruolo da svolgere in questo processo di costruzione di una società più paritaria e libera dal sistema patriarcale, dalla mascolinità tossica, dal machismo e dalla misoginia. Innanzitutto, è cruciale promuovere maggiormente l’educazione sessuale e affettiva. Fondamentale è, poi, diffondere la cultura del consenso, per far sì che ogni persona sia nelle condizioni di decidere liberamente se dare o meno il proprio consenso sessuale. Anche la responsabilizzazione individuale gioca un ruolo chiave, incoraggiando le persone a rifiutare e contrastare attivamente qualsiasi comportamento sessista, dal catcalling alla violenza sessuale. Allo stesso tempo, è cruciale creare un ambiente in cui le vittime di violenza si sentano ascoltate, supportate e tutelate dalla società e dalle istituzioni. Promuovere modelli positivi di mascolinità e lavorare per l’uguaglianza di genere sono ulteriori passi importantissimi. Solo attraverso un impegno collettivo possiamo sperare di cambiare queste dinamiche e costruire una società più egualitaria, rispettosa e inclusiva”, ha concluso la Dottoressa Valeria Fiorenza Perris, Psicoterapeuta e Clinical Director del servizio di psicologia online Unobravo.