*Focus a cura di Giorgio Soffiato, Amministratore Delegato Marketing Arena srl
Inbound che? Parlare di Inbound Marketing, di questi tempi, rischia di essere al tempo stesso affascinante e fuorviante. Nel marketing, quando ci si riferisce a temi “spinosi” è meglio partire dalle definizioni. Wikipedia andrà benissimo:
Il termine Inbound marketing indica una modalità di marketing centrata sull’essere trovati da potenziali clienti (outside-in) in contrasto alla modalità tradizionale, detta anche outbound marketing (inside-out) che è imperniata su un messaggio direzionato unicamente verso il cliente.
Si tratta quindi di generare contatti in maniera “soft”, mettiamo qualche paletto:
- l’Inbound marketing è una tecnica che va a braccetto con la lead generation,
- l’obiettivo finale è quindi quello di generare contatti profilati. Spesso vengono utilizzati progetti di branding, il cui obiettivo è però quello di convogliare l’utente in un “imbuto di conversione” (funnel)
- buona parte del successo dell’Inbound marketing si deve ad un approccio “per fasi” in cui l’utente viene agganciato e successivamente seguito e la relazione viene alimentata (nurturing) tramite l’incontro su vari punti di contatto che vengono puntualmente progettati.
La sensazione è che, al solito, si metta lo strumento davanti al tema. La più vicina percezione che ho nella mia esperienza di Inbound Marketing riporta al concetto di “disintermediazione dello sforzo pubblicitario”, qualcuno potrebbe dire “più SEO per tutti”. Non è solo questo. Credo che la vera differenza risieda nella valutazione di 2C chiave: concetto e contenuto. Il concetto teorico è ineccepibile. Farsi trovare, creare contenuti di qualità in maniera continuativa, attrarre utenti e pian piano fidelizzarli. Stupendo. Ma cos’è un contenuto di qualità? L’ultima campagna di AUDI è un esempio importante.
Ma poi, quando da consulente hai detto ai clienti di creare contenuti bellissimi, scopri da un articolo del Guardian che sostanzialmente le persone condividono quello che fa più rumore, non le cose più interessanti, o colte o culturali. Che fare quindi? Al solito, la verità sta nel mezzo e “back to basics” è la soluzione. Facciamo un passo indietro.
Ci sono poche cose nel marketing non etichettabili come mode, di cui ci si può effettivamente fidare, ne citerò due. La prima è il concetto senza tempo di 4P di Kotler. Forse passato, forse da aggiornare, la verità è che quasi sempre un prodotto, un prezzo, un contesto distributivo e un impianto di comunicazione sono coinvolti in una marketing strategy. La seconda è la “quarta dimensione” del nostro mestiere: la customer journey. Ne ho scritto in lungo e in largo, ma riassumo in breve: ogni utente attiva diverse interazioni con un prodotto, un servizio, una marca prima di sviluppare un’azione. Interazioni che avvengono in momenti, stati d’animo e soprattutto device diversi contribuendo a costruire un contesto omni-canale, una parola che va tanto di moda. Google ha prodotto sulla base di questo concetto un tool molto interessante che ci permette di visualizzare la customer journey in vari settori.
In azienda, quindi, ha senso fare Inbound Marketing? La verità è che tutti noi quando produciamo un buon contenuto ci avviciniamo a queste tecniche. Il pregio dell’Inbound Marketing risiede nella resilienza e nella perseveranza che, come metodo, impone al management ed alle figure esecutive (qualcosa che ricorda molto la regola delle 10.000 ore) perché consente di produrre, diffondere e misurare i risultati prodotti da contenuti di qualità ed altamente verticali. Il rischio è quello di trovarsi di fronte ad “una guida per ogni cosa” ed “un blog sui tondini di ferro” solo perché chi comanda questa nave ha applicato “alla lettera” il metodo. Una realtà che con buonissimi risultati sta applicando l’Inbound Marketing è SAS, un’azienda a forte vocazione tecnologica che fa del tema dei dati uno dei suoi cavalli di battaglia. Grazie ad un approccio basato sulla produzione di contenuti di reale qualità è riuscita ad ottenere un miglior contatto con il pubblico e a parlare a nuovi target. Un esempio è il contenuto sul futuro dei Big Data recentemente prodotto.
Come fare Inbound Marketing da domani mattina? Non possiamo non citare i due software principali che si occupano di questo mestiere, Hubspot e Marketo, ma sono davvero tante le piattaforme al servizio del tema. Il mio consiglio è quello di cominciare scaricando le loro guide con l’obiettivo di capirci qualcosa, e poi fare pratica su un proprio caso aziendale.
Come sempre quello che farà la differenza è l’approccio: l’applicazione enfatica di un’idea altrui non pagherà. Il ragionamento si. Se il progetto che abbiamo davanti “si presta” ad un progetto di Inbound Marketing sarà il caso di applicare queste tecniche, se invece il nostro utente ha un bisogno urgente (curarsi i denti, ottenere un prestito) non sarà questa la soluzione migliore. Un concetto da approfondire con calma e testa ma, senza alcun dubbio, una buona opportunità per il marketing dei prossimi anni
Giorgio Soffiato