In questi giorni, il mondo della pubblicità e della comunicazione è stato travolto dall’emergere di una situazione tossica, diffusa e radicata nell’ambiente da anni. Tutto parte dalla voce solitaria del consulente di comunicazione e noto pubblicitario Massimo Guastini, ex Presidente ADCI, il quale si fa portavoce delle testimonianze di donne, giovani stagiste e non solo, che gli hanno rivelato nel corso degli ultimi anni di aver subito molestie sessuali da parte di un collega, Pasquale Diaferia, successivamente espulso da ADCI.
La questione nasce su Facebook e per un po’ di tempo resta circoscritta nel perimetro del social, tra screenshot e botta e risposta a bacheche incrociate. In questo frangente, vengono fuori numerose altre segnalazioni e testimonianze, come il racconto dell’esistenza di una maxi chat sessista che coinvolge la maggior parte del personale di sesso maschile di una nota agenzia pubblicitaria, We Are Social, in cui si susseguono commenti pesanti e volgari sulle colleghe, tra classifiche “anatomiche” e oggettivizzazione dei corpi femminili.
I casi di molestie nel mondo della pubblicità rendono ancor più urgente e necessaria una riflessione condivisa e prese di posizione nette per un cambiamento reale e una rivoluzione culturale globale
Il caso esplode però quando Monica Rossi, pseudonimo dietro cui si cela uno degli editor più acuti e corrosivi del panorama editoriale italiano, incappa nei post di Guastini e decide di intervistarlo, con la celebre formula delle 33 domande:
In seguito, Monica Rossi intervista anche Mario Leopoldo Scrima, ex dipendente di We Are Social, pentito di aver fatto parte della tristemente nota chat:
Rispetto a quanto emerso, l’agenzia We Are Social risponde rilasciando una breve nota, per esprimere la sua posizione nel merito: “In relazione alle notizie apparse a mezzo stampa – relative a fatti risalenti al periodo compreso tra il 2016-2017 – We Are Social condanna, da sempre, qualsiasi forma di discriminazione e atteggiamenti inappropriati. We Are Social è da sempre impegnata nel creare un ambiente di lavoro sano e inclusivo. La società, nel corso degli anni, ha messo in atto numerose iniziative con partner qualificati affinché il benessere e la tutela delle persone siano al primo posto”.
Inoltre, Alessandro Sciarpelletti, ECD di We are Social, ha dichiarato: “A seguito di quanto emerso, su episodi di molestia e discriminazione perpetrati in diverse agenzie, tra cui quella di cui faccio parte, desidero autosospendermi, pur con dispiacere, dal consiglio del club ADCI fino a che la questione non venga ulteriormente chiarita. Lo faccio per permettere al club stesso e alla realtà per cui lavoro di indagare con obiettività, con chiarezza e con forza la questione di cui si dibatte, che trovo importante e grave”. ADCI ha accolto l’autosospensione di Sciarpelletti.
Il dibattito in relazione al tema molestie e sessismo in campo pubblicitario è ora apertissimo e serrato, anche perché si tratta di un problema culturale che investe molteplici piani e settori e richiede una riflessione approfondita e condivisa, con prese di posizione nette e la volontà concreta di invertire la rotta e sradicare completamente comportamenti tossici e abitudini grette e inaccettabili, non circoscrivibili esclusivamente all’ambito della comunicazione. I resoconti sono ancora parziali, la faccenda è per il momento solo mediatica e ci saranno senz’altro da seguire gli eventuali sviluppi, ma, intanto, il vaso di Pandora è stato almeno sollevato. Occorre quindi tenere viva l’attenzione e adottare una predisposizione all’ascolto, evitando di cadere nel tranello della colpevolizzazione delle vittime: bisogna insomma avviare un processo di cambiamento radicale della società contemporanea. Anche UNA – Aziende della Comunicazione Unite ha sentito il bisogno di intervenire direttamente, rilasciando un breve comunicato, per invitare tutti a un necessario esame di coscienza.
“UNA ha il dovere di cogliere l’urgenza di elaborare, riflettere e sradicare un fenomeno che ha radici culturali molto profonde che non sono assolutamente da considerare strutturali del comparto della comunicazione. È necessario parlarne, interrogarci, assumerci le nostre responsabilità e andare a fondo per sradicare quei comportamenti tossici, violenti e fuori legge in modo fermo e deciso come aziende, come professionisti e come esseri umani. Ma, soprattutto, dobbiamo farlo subito e dobbiamo farlo tutti.
UNA è consapevole dell’importanza della comunicazione per lo sviluppo sociale. Le aziende associate lavorano ogni giorno per la crescita civile ed economica del Paese, sono il motore che dà forza alle imprese e alle marche.
È la ragione per cui UNA ha posto al centro dei suoi scopi sociali l’affermazione dell’etica, della trasparenza e la diffusione della cultura. Come associati UNA ci impegniamo ad applicare i principi etici e di trasparenza verso i lavoratori, i clienti, i fornitori, verso tutti i portatori di interesse. Sono valori forti in cui crediamo intimamente perché esprimono le qualità della nostra professione, soprattutto in questo periodo storico.
Oltre allo Statuto e al codice deontologico, l’associazione si è dotata di un codice etico, approvato dal Consiglio Direttivo e di prossima approvazione ai soci, che consentirà a UNA di essere più efficace nel creare una cultura di responsabilità nei confronti di tutti gli attori della industry della comunicazione”.
E.P.