“È bello qualcosa che, se fosse nostro, ci rallegrerebbe, ma che rimane tale anche se appartiene a qualcun altro”. Non ci sono parole più incisive di quelle del maestro Umberto Eco per cercare di spiegare lo spirito di condivisione e di crescita reciproca alla base di un racconto di bellezza così ampiamente condiviso come quello del made in Italy.

Arturo Prisco con la moglie Helga
Lo stesso racconto che lega a doppio filo il saper fare italiano all’ammirazione del resto del mondo, che permette di guardare al futuro senza mai dimenticare l’importanza della tradizione. Lo sa bene Arturo Prisco, il “re delle stoffe” italiane in Germania, o come preferisce definirsi, un “comunicatore” del made in Italy.
Si è detto tante volte che il rapporto tra Italia e Germania è di amore e odio. Bene, lui è la prova tangibile che così non è, insieme ai molti italiani (oggi circa 700mila) per cui questa è una terra promessa. Arturo Prisco è la migliore rappresentazione del valore aggiunto della coesistenza di due anime diverse della stessa Europa. Nominato commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana nel giugno del 2009, oltre ad aver creato un momento d’incontro chiamato Idea Prisco, è stato il primo imprenditore a ricostruire un intero quartiere, quello del centro storico di Dresda. Una storia, la sua, che parla di passione, intraprendenza, lungimiranza e della buona stella che ha illuminato il suo cammino.
Procediamo con ordine. Brianzolo, pugliese di nascita, come è arrivato in Germania?
Diciamo che è stata in gran parte “colpa” del destino. Mio padre apparteneva al Corpo della Guardia di Finanza ed era in servizio ad Avetrana negli anni della seconda guerra mondiale. Nel 1945 – io avevo due anni – fu trasferito e tutta la famiglia (io, mia madre e le mie due sorelle) partì alla volta di Villasanta, in Brianza, dove poi siamo rimasti e dove ho portato avanti gli studi, diplomandomi in ragioneria. A 19 anni conobbi, sul lago di Garda, una bellissima ragazza tedesca, Helga, e subito me ne innamorai. Avevo bisogno di soldi per andarla a trovare in Germania, così iniziai a vendere libri ed enciclopedie per l’Istituto Geografico De Agostini Novara. Quando portai a casa il primo assegno (600 mila lire) mio padre rimase incredulo, tanto da volersi accertare con il mio datore di lavoro che quella
cifra, quasi il triplo del suo stipendio, arrivasse proprio da lui. Da quel momento ci fu una rapida ascesa lavorativa con esperienze che mi diedero modo di affinare le mie capacità comunicative e commerciali. A 22 anni la De Agostini mi aveva affidato la responsabilità della filiale di Lodi. Qui conobbi anche i titolari di un lanificio della zona per cui occasionalmente facevo da interprete con alcuni clienti tedeschi, visto che negli anni avevo acquisito una conoscenza minima della lingua grazie a Helga, divenuta nel frattempo mia moglie. Col tempo diedi prova delle mie capacità con alcune vendite importanti e, nel 1980, quando avevo 37 anni, la ditta mi propose di diventare il loro rappresentante a Monaco. In venti minuti decisi di trasferirmi in Germania.
Sua è la formula di successo dell’Idea Prisco dove due volte all’anno le migliori case italiane di tessuti si confrontavano con i player locali in occasione della presentazione delle collezioni e che oggi è diventata un luogo d’incontro per i marchi italiani con la stampa e la clientela tedesche. Da cosa nasce quest’idea?
Dopo qualche mese da rappresentante, decisi con mia moglie di aprire uno showroom, la Prisco Haus, in una delle strade più rinomate di Monaco. Un luogo d’incontro e confronto per italiani e tedeschi. Pensammo che far incontrare sotto lo stesso tetto tecnici, disegnatori e titolari delle fabbriche italiane e stilisti, proprietari e dirigenti di quelle tedesche sarebbe stato molto più efficace che mandare un rappresentante impresa per impresa. Sarebbe stato un
modo per dare il giusto valore al prodotto stesso. L’idea era di creare una piattaforma di comunicazione che mettesse direttamente in contatto l’artigianalità italiana e la richiesta tedesca. Molti pensarono che eravamo pazzi, eppure al Prinzregentenplatz 23 quella che era iniziata come una piccola fiera privata diventò in poco tempo un appuntamento fondamentale per il settore. Ecco, credo che il nostro punto di forza sia stato proprio questo, parlare con le persone e capirne le necessità realizzando qualcosa di utile. È così che nascono le idee, cercando soluzioni. E la comunicazione è la parola magica.
È anche riuscito a ricostruire un intero quartiere della città di Dresda…
Abbiamo trasferito parte delle attività a Dresda nel 1995 e ancora ricordo il primo giorno in città. Pioveva, tutto era tremendamente grigio e la città era ben lontana dall’avere le sembianze che ha oggi. Eppure qualcosa mi diceva che qui, in questo luogo simbolo della rinascita della Germania dell’Est, c’era molto potenziale. Acquistai e rimisi a nuovo una grande villa, cercando di interessarmi ed essere d’aiuto alla comunità locale. Proprio alla luce di questo fu lo stesso sindaco ad incitarmi a partecipare a una gara per il rilancio di Dresda. La vinsi con l’obiettivo di restituire dignità, bellezza ed eleganza al centro storico. E credo di esserci riuscito realizzando il “Quartier an der rauenkirche” (QF), con negozi, uffici e un hotel di lusso.
Ha da poco ricevuto il Munchner Phönix Preis, un riconoscimento che la città di Monaco assegna a quegli stranieri che si sono particolarmente distinti. Che effetto le ha fatto?
Mi ha riempito di orgoglio. A questo Paese devo molto. Mi ha insegnato a mettere da parte i pregiudizi, così come credo abbiano dovuto fare molti dei tedeschi che ho incontrato finora, smentendo quella visione stereotipata degli italiani, di un popolo superficiale e inaffidabile. Il premio mi ha fatto riflettere ancora una volta sul fatto che confrontarsi con le altre culture non può che arricchire di nuove esperienze e visioni, rendendoci ancora più orgogliosi e consapevoli di ciò che siamo e di quanto valiamo. A Sud della Germania il 43% del reddito è prodotto da stranieri verso cui c’è molto rispetto. Dieci anni fa il governo tedesco ha intrapreso un’ottima politica di integrazione, che è un esempio per l’Italia e per i nostri politici. Per cercare di cambiare rotta finché siamo in tempo.
Martina Morelli