Si celebra oggi, 23 aprile, la Giornata Mondiale del Libro e del Diritto d’Autore, iniziativa patrocinata dall’UNESCO per promuovere la pubblicazione e la lettura dei libri. L’idea della Giornata mondiale del Libro deriva da un’iniziativa catalana: fu proprio in Catalogna infatti che lo scrittore ed editore valenciano Vincent Clavel Andrés, nel primo Novecento, propose una giornata all’anno dedicata al libro. Il 6 febbraio 1926, il re Alfonso XIII promulgò un decreto reale che istituiva la Giornata del libro spagnolo: fissata inizialmente il 7 ottobre, fu poi spostata al 23 aprile a partire dal 1931, in concomitanza con la festa di San Giorgio, patrono della Catalogna. Una tradizione di origine medievale vuole che in questa giornata gli uomini regalino alle proprie donne una rosa, così, i librai catalani hanno cominciato a donare una rosa per ogni libro venduto il 23 aprile. La Giornata del Libro fu istituita ufficialmente nel 1995, nel corso della 28esima edizione della Conferenza Generale dell’UNESCO, riunita a Parigi: 12 Paesi proposero di lanciare l’iniziativa per sottolineare il valore e il piacere della lettura ed enfatizzare il contributo degli autori al progresso dell’umanità.
In occasione di questa importante celebrazione, proponiamo l’intervista allo scrittore Piero Trellini, per presentare il suo ultimo lavoro, “Danteide“, un’opera visionaria che ci permette di tuffarci nel mondo di Dante Alighieri attraverso la suggestione del suo stesso sguardo.
L’intervista allo scrittore Piero Trellini: “Danteide”, un libro che ci regala lo sguardo del Sommo Poeta
Se su Dante non si è detto tutto, di sicuro si è detto molto. Sono trascorsi 700 anni dalla morte del Sommo Poeta che, tra il 13 e il 14 settembre del 1321, trovò la morte dopo aver contratto la malaria di ritorno da un viaggio a Venezia. Sette centenari sono stati attraversati da studi, commenti, interpretazioni su Dante Alighieri e la Divina Commedia, il suo capolavoro più grande che racchiude tutta la sua esperienza politica, spirituale e poetica. In molti hanno raccontato Dante e il suo tempo, ma forse l’unico a non averlo fatto è Dante stesso. È da questo spazio lasciato vuoto che parte Piero Trellini, giornalista, scrittore e narratore moderno dallo sguardo attento e al di sopra del pronosticabile. Con “Danteide”, il suo ultimo lavoro, compie il passo in più e dà alle stampe un libro che lo colloca senza troppe difficoltà tra gli autori che hanno qualcosa da dire, e lo dicono bene. Partito dalla carta bianca lasciatagli dalla casa editrice Bompiani per celebrare il settimo centenario del poeta, Trellini l’ha riempita con un romanzo fitto di vite, personaggi e avvenimenti che escono fuori dalla Commedia dantesca per incontrarsi con ispirazioni contemporanee che non fanno altro che conferire ancora più ritmo alla narrazione, ma conservando una piacevole armonia. Piero Trellini parte dalle dieci del mattino del 27 maggio 1865, quando due manovali scoprono le ossa del cranio di Dante in una cassetta. Tutti vogliono sapere perché quel cranio si trovi lì, quale sia la sua storia e soprattutto il peso del suo cervello, lo stesso che produsse il più bel libro mai scritto dagli uomini, popolato da figure straordinarie. Ad osservarle e raccontarle è la prospettiva del poeta: Trellini sposta il suo sguardo da Dante per entrare al suo interno e condurre gli uomini da lui incontrati in una storia di intrecci, permettendoci così di vivere – con i suoi occhi – le vite degli altri e percorrere un’epoca tra le più interessanti della nostra storia.
Nell’anno dei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri, Piero Trellini pubblica “Danteide”, un testo tra il romanzo e l’avventura in cui non si guarda al poeta ma a ciò che lui vide
Quando hai iniziato a scrivere Danteide cosa non volevi assolutamente fare?
Una biografia in senso classico, perché sarebbe stato un lavoro inutile. Siamo invasi da stimoli di ogni genere. E credo che ormai valga la pena realizzare solo opere figlie di approcci totalizzanti, innovativi e direi quasi ossessivi. È solo un mio punto di vista e deriva dal fatto che da un lato abbiamo tutti i mezzi per arrivare alle informazioni che cerchiamo, dall’altro disponiamo di un bacino illimitato dal quale attingere. I lavori compilatori sono svuotati di significato. A meno che non si abbia una storia potente credo che ripercorrere la falsa riga della struttura narrativa tradizionale avvalendosi degli elementi abituali sia ormai un’operazione che non aggiunga nulla rispetto a quanto sia già a portata di mano. Questo vale per il cinema, la musica, il teatro e anche per la scrittura. Naturalmente quando si racconta la storia, quella reale, ci sono anche altri accorgimenti da adottare ma, in ogni caso, per Dante ho voluto evitare oltre al proposito biografico anche un approccio che pendesse verso l’opera perché entrambe le strade avrebbero ricalcato, in modo insensato, i lavori altrui senza aggiungere nulla rispetto a quanto già scritto in questi anni.
Celebrare Dante in maniera non scontata è quindi ancora possibile. Come hai fatto ad entrare in un cervello di 1649 grammi e guardare il mondo dal suo punto di vista?
Di Dante sappiamo poco e si è scritto molto. Lui stesso fonde vita e opera. Tra i versi che compone semina rimandi alla sua esistenza attraverso piccoli indizi che vanno però toccati con la più assoluta cautela. Ma Dante è vissuto in uno spazio e in un tempo ben definiti. E all’interno di queste coordinate hanno coabitato con lui una serie di figure che sono poi andate a confluire nella Commedia. Qui il poeta raccolse tutto ciò che di quelle aveva letto, visto o ascoltato. Dante era dunque fatto anche di vite altrui. Questo mi ha portato a compiere l’operazione contraria, estrapolando quegli individui dalla sua opera per ricollocarli nel loro mondo, che poi era anche il suo. E anziché guardare lui ho provato a osservare quel mondo dai suoi occhi.
Ti contraddistingue la cura maniacale dei dettagli. Ma quanto studio pregresso c’è in quelle 576 pagine?
Tanto. Se vogliamo parlare in numeri quei 1649 grammi di cervello si sono tradotti nelle 576 pagine dietro le quali ci sono state 248 cartelle contenenti 4953 documenti per un peso totale di 5.292.691.352 byte. Senza contare i libri: la composizione dei singoli capitoli è nata dall’incrocio di fonti cronachistiche, combinate con studi di demografia, biologia, climatologia, genealogia, iconografia, urbanistica, economia e agraria.
L’intersezione dei saperi ha generato un centinaio di mappe attraverso le quali ho provato a cercare connessioni tra i vari ambiti per avere un quadro indicativo di quanto potesse direttamente o indirettamente attraversare la testa di un uomo come Dante nei differenti livelli di spazio e tempo entro i quali si era mosso nei suoi cinquantasei anni.
La tua tecnica strutturalista nel trattare le vicende viene impreziosita da una scrittura contemporanea che scorre per intrecciare momenti e personaggi. Quanto ti sei divertito a inserire nel tessuto dantesco degli intarsi di post moderno?
Abbastanza. Ma è stata una scelta dettata dalle necessità. Per coinvolgere il lettore, tenendolo agganciato da un lato ai contesti medievali, dall’altro al nostro modo di vederli, il libro ha dovuto truccare l’alto da basso, per permettere alle dinamiche più lontane di arrivare più agilmente al lettore. I rimandi al nostro presente si accendono già nei titoli dei capitoli che richiamano le pellicole di Spielberg, Bergman, Lucas o Wenders ma anche le canzoni di Dylan. Vengono poi citati il tappeto di Drugo Lebowski, la bicicletta di Antonio Ricci o la ventiquattrore di Vincent Vega ma i riferimenti toccano gli espedienti hitchcockiani, il Rat Pack, la Nouvelle Vague, la Beat Generation, gli impressionisti, la seleção brasiliana o l’american dream. Persino alcuni passaggi sono ricamati sui testi cardine del nostro immaginario, da Rino Gaetano (a proposito di Giano della Bella: “Giano sosteneva tesi e illusioni”) a “Star Wars” (verso il quale, nel sommario di un capitolo dedicato a Ugolino, il rimando alle intro scorrevoli della saga è esplicito).
La storia è antica, lo stile è pop. Tutto quel che fu la Commedia potrebbe oggi essere una moderna serie tv?
Certamente. Ma più che la Commedia, la quale, per quanto sia incredibilmente suggestiva, ha uno stile narrativo “orizzontale” (quindi non strutturato nei classici atti drammaturgici), è proprio la Danteide – le avventure della vita reale di allora – a essere predisposta. Il libro è concepito pensando anche a questo aspetto. Gli argomenti, gli eventi e i protagonisti descritti in ciascun capitolo provengono tutti dalla Commedia. I personaggi sono ricorrenti, si intrecciano tra loro e, nella vita reale, vivono tutti una loro evoluzione tesa al tragico o alla redenzione. D’altronde è inevitabile ormai, la tipologia di narrazione seriale è diventata parte del nostro modo di vedere le storie. Il libro è diviso in capitoli che abbracciano singole porzioni di tempo. Queste sono organizzate seguendo un denominatore comune e cadenzate da un elemento ricorrente. Ognuno di questi percorsi può essere visto come la puntata di una serie e racconta una vicenda corale. All’interno di ciascun frammento si muovono, infatti, più storie parallele, destinate nel finale di capitolo a incrociarsi, nella morale o nei fatti: il groviglio si sbroglia e i protagonisti si ritrovano legati tra loro (dal destino, dal sangue, dalla morte o dall’amore) come in un finale di puntata di “Grey’s Anatomy” o “Desperate Housewives”.
Perché dopo 700 anni ha ancora senso celebrare Dante? E come interpreterebbe la realtà odierna una sensibilità come la sua?
Il senso risiede nella bellezza. E questa è senza tempo. Un anniversario è solo un’occasione per concentrare sforzi e risorse su un unico punto. Ma Dante è nella nostra quotidianità sempre, nascosto tra i nostri pensieri prima ancora che le parole escano dalle nostre bocche. Le dinamiche umane sono sempre le stesse. Cambiano i contesti, i tempi, i mezzi ma noi restiamo uguali. Quando Dante uscì allo scoperto mandò il suo componimento ai maggiori poeti di Firenze chiedendo loro una interpretazione per avere risposte e commenti. È esattamente lo stesso meccanismo praticato oggi sui social per ottenere la massima resa. Dante, allora come ora, cercava l’engagement, il coinvolgimento degli utenti.
Dante visse da uomo normale le vite straordinarie degli altri. A lui il pregio di averle sapute raccontare in quello che è considerato il capolavoro della letteratura mondiale di tutti i tempi. In fondo tanto “normale” Dante non era…
Dante non fece la storia ma vide la storia farsi. Fu apparentemente un uomo qualunque in un contesto straordinario: immerso dentro una realtà nella quale si trovò in un modo nell’altro a incrociare, come Forrest Gump, le vite degli altri: il filo della sua esistenza con quello dell’arcivescovo Ruggieri, di Bonifacio VIII o delle famiglie di Paolo, Francesca, Ugolino e di molti altri. L’osservazione dall’alto mi ha permesso di seguire i loro destini scoprendo che, ineluttabilmente, andavano tutti a intrecciarsi. Ecco, questo alla fine è quel che rimane del viaggio. Si può tenere in un pugno. Perché quel mondo che Dante ha raccontato era incredibilmente piccolo. E ciò che fa della sua opera un capolavoro è il fatto che lui sia riuscito a rendere quella piccolezza universale.
Elisa Rodi