“Cercasi manager con ottima conoscenza della lingua inglese e buona di una seconda lingua”. “Cerchiamo personale che sappia parlare l’inglese in maniera fluente, gradita la conoscenza della lingua tedesca o spagnola”. “Il candidato deve avere una buona preparazione della lingua inglese e della lingua cinese”. Andando su internet alla ricerca di opportunità lavorative ci si imbatte sempre più su questi tipi di annunci che testimoniano la nuova tendenza del mercato del lavoro: quella del candidato poliglotta.
Ormai scontata la lingua inglese. Tutti quanti dovremmo saperla e parlarla almeno ad un buon livello. Un inglese fluente è diventato un presupposto indispensabile per chi cerca lavoro. Nel proprio curriculum vitae è un requisito fondamentale che non può mancare. Ma non basta. Sempre più spesso le grandi aziende internazionali o nazionali nel selezionare i propri candidati e nel cercare dei nuovi manager sembrano gradire la conoscenza di almeno un’altra lingua straniera, se non addirittura una terza, sia europea o di un altro continente.
Oggi sembra essere cambiata la mappatura delle lingue. Se anni fa erano l’inglese, il francese, lo spagnolo ed il russo le lingue più conosciute e richieste dal mercato, oggi la tendenza sembra essersi spostata verso l’est. Se tra le lingue europee aumentano le richieste del tedesco, salgono in maniera esponenziale le quotazioni di chi sa parlare il cinese, il giapponese o il coreano.
I dirigenti, manager e professionisti italiani o gli aspiranti tali sembrano non essere molto inclini all’uso degli idiomi stranieri. Siamo il paese, a detta dei dati forniti dalle ricerche, con uno tra i più bassi livelli di scolarizzazione. Sotto accusa, dunque, i molti atenei italiani che dopo la riforma del 3 + 2 hanno ridotto lo spazio destinato alle lingue straniere. La colpa comunque è anche da attribuire ai giovani italiani che hanno già difficoltà con la loro lingua madre figuriamoci con un’altra lingua. Quasi un terzo delle matricole che si iscrivono all’università non raggiunge neanche un livello minimo d’inglese. Secondo i manager responsabili al reclutamento di personale soprattutto per l’inglese fluente non si supera il 30% della richiesta, mentre per una buona conoscenza si arriva al 50%. Manca una buona formazione scolastica ed investimenti per la diffusione delle lingue straniere. C’è da notare come sia ancora diversificata la loro conoscenza nelle diverse regioni italiane: mentre nel nord, e in particolare Lombardia e Piemonte, la situazione sembra ottimale e l’inglese si sta diffondendo sempre più, nel sud la percentuale è ancora molto bassa.
Il mercato del lavoro cambia in maniera vorticosa e cambiano le richieste da parte delle aziende. La globalizzazione, il costante incremento delle aziende multinazionali nel nostro paese e i sempre più frequenti contatti con aziende all’estero impongono alle società di avere tra le proprie file manager e dirigenti con una alta professionalità ed esperti conoscitori delle lingue. La diffusione e l’utilizzo dell’idioma è relazionato allo sviluppo economico e alla potenza del paese. Il potere economico si sposta in oriente ed ecco che spuntano opportunità per chi conosce il cinese, indiano ed il giapponese perché bisogna competere e dialogare con queste nuove potenze mondiali economiche e culturali. E non è un caso se sono aumentati di gran lunga il numero di iscritti ai corsi universitari dedicati allo studio delle lingue orientali. Ma ancora è presto per avere un buon serbatoio di persone da cui attingere per il mercato del lavoro. Risulta inevasa la stragrande parte delle richieste delle società. E si ricorre ai compromessi.
Per la scelta dei manager, la tendenza delle aziende sembra quella di accontentarsi e scegliere il meno peggio tra i candidati che si presentano per il posto di lavoro. Per le lingue straniere la difficoltà è dovuta principalmente alla grammatica, ma quello che preoccupa maggiormente i selezionatori è il pesante accento: la pronuncia è il tallone d’Achille per i manager del nostro paese. Abbiamo molti manager che alle riunioni, ai meeting espongono le loro argomentazioni con un inglese al limite del maccheronico, con prestazioni che fanno ritornare alla mente le scene dei film di Totò o di Alberto Sordi in “Un americano a Roma”, con frasi elementari e dalla sintassi sconnessa, gesticolando con le mani in modo confusionario e maldestro.
Dalle ricerche fatte si è riscontrato anche un fenomeno pecuniario legato alle nuove lingue del lavoro. Con lo stesso livello di istruzione e con il medesimo ruolo, chi ha un buona conoscenza del tedesco, per esempio, ha molte più possibilità di vedersi aumentare il proprio stipendio anche di un 20%, rispetto ad un collega con un fluente business english. Figurasi poi se si conosce la lingua più parlata al mondo: il cinese mandarino, che negli ultimi anni è sempre più richiesta dal mercato del lavoro e di conseguenza, per chi la conosce bene, è un trampolino per provare un lavoro ed ottenere delle ottime retribuzioni.